Segnatevi l’ora: le 03:33. E il giorno. Anzi, la notte: quella tra il 26 e il 27 luglio dell’anno di grazia 2019. In quel momento esatto il consiglio regionale dell’Emilia-Romagna ha approvato la legge regionale contro le discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere.
E lo ha fatto a larghissima maggioranza, dopo quasi 40 ore di ostruzionismo da parte di una destra becera, i cui toni e frasario non avevano nulla da invidiare a quelli usati dalle camicie nere nel Ventennio. Atteggiamento così aggressivo ed esagerato da far finalmente capire a tutti quale rischio la democrazia stia correndo non solo in Emilia-Romagna ma in tutto il Paese.
È stata una conquista importante su cui vale la pena, a mente fredda, di fare alcune riflessioni. Perché il dato di partenza, diciamocelo, non era molto confortante: questa legge, che mi onoro di aver presentato nella scorsa legislatura regionale, non solo era fortemente contrastata dalla destra ma subiva i “dubbi” di ben 11 su 29 consiglieri del Pd. Ora, senza quegli 11 consiglieri non ci sarebbe stata nessuna legge.
Bisognava perciò trovare un punto di equilibrio – tra noi e loro – che ci consentisse, facendo meno concessioni possibili, di portare a casa un testo utile contro le discriminazioni. Come ha scritto magistralmente Giovanni Caloggero, la politica è infatti l’arte del compromesso e anche, come sostengo io, della riduzione del danno. Ma questa strategia non è stata capita da alcune persone all’interno della collettività Lgbti, che senza nemmeno aver letto il testo definitivo – qui lo pubblichiamo integralmente per la prima volta – si sono attardate a commentare un solo aspetto della legge, l’ormai arcinoto emendamento sulla gpa.
Fosse dipeso da noi, quell’articolo (il 12) non ci sarebbe stato per la buona ragione che l’argomento non c’entra nulla con l’oggetto della legge. Non a caso, per poterlo introdurre, si è dovuto presentarlo come «modifica alla legge regionale n. 6 del 2014», quella cioè di Parità.
La proposta di partenza era di gran lunga peggiore e, solo grazie alla pressione del movimento e a molto buon senso, quell’emendamento è stato di fatto sterilizzato, come peraltro ha fatto scompostamente notare la destra nei giorni della discussione in Aula. Nella versione definitiva l’emendamento si limita infatti a dire che «la Regione non concede contributi ad associazioni, anche se regolarmente iscritte nei registri previsti dalla normativa vigente, che nello svolgimento delle proprie attività realizzano, organizzano o pubblicizzano la surrogazione di maternità».
Ora di fatto, come noto, non esistono né in Emilia-Romagna né in altre regioni associazioni che realizzano, organizzano e pubblicizzano la gpa. Se così fosse, sarebbero perseguite penalmente in base alla legge 40 (del cui art. 12, comma 6, la legge regionale riprende i tre verbi in questione). Cosa ben diversa è favorire il dibattito o esprimere posizioni favorevoli sul tema. E questo, naturalmente, la nuova normativa regionale non lo impedisce.
Ci sono da sottolineare altri dati, più squisitamente politici, che per alcuni aspetti sono persino clamorosi:
1) la destra ha fatto una figura stercoraria, perché ha mostrato il suo vero volto e fatto conoscere quale pericolo costituisca per la democrazia;
2) la paura serpeggiante in una parte non irrilevante del centro-sinistra, il credere cioè che la battaglia per i diritti civili e le tutele delle libertà e delle identità personali non sia una risorsa ma “faccia perdere voti”, è stata totalmente smentita dalle ultime elezioni amministrative: in tutti i Comuni, che avevano concesso il patrocinio al Pride, sono stati rieletti tutti i sindaci uscenti. Per non parlare, poi, dell’elezione del primo sindaco transgender d’Italia, in un comune, come Tromello, dove alle concomitanti europee la Lega ha preso ben il 53% dei voti;
3) l’atteggiamento di odio e violenza verbale, di cui, durante le votazioni della legge sulla omotransfobia, ha dato prova la destra in Consiglio regionale, ha compattato il centrosinistra come mai era successo prima d’ora. E non solo; allo schieramento di centrosinistra si è aggiunto il voto dei consiglieri del M5s, cosa che mi auguro, ma questo è un giudizio del tutto personale, succeda anche in futuro. Vale a dire che si formi un’alleanza che mandi all’opposizione l’estrema destra;
4) dev’essere ben chiaro, sempre per rimanere sul piano politico, che la destra ha perso e che noi abbiamo vinto. Cosa che per fortuna ogni tanto succede. Lo sconfittismo lamentoso, di cui taluni nella collettività Lgbti danno prova sempre, comunque e in relazione a qualsivoglia vicenda, è pernicioso perché non consente di vedere i passi in avanti, che la comunità ha fatto e continua fortunatamente a fare. Se l’alternativa era tra il nulla e questa legge, bene: si faccia avanti chi sostiene il nulla e ci spieghi bene il senso di questa opzione assurdamente masochista;
5) rimarco l’importanza della presenza militante della collettività Lgbti emiliano-romagnola – compresi i rappresentanti di quelle associazioni, che hanno sottoscritto il comunicato critico al testo di legge – durante i lavori, anche notturni, dell’Assemblea. Le foto di questa presenza in Aula hanno fatto il giro del web (e non solo). Mai era successo, nell’intera storia della Regione, che un soggetto proponente una norma sia ostinatamente e fermamente rimasto a presidiare i lavori fino all’approvazione della norma. Ragazzi e ragazze, a tutti voi va il nostro grazie e il nostro plauso più affettuoso;
6) least but non last, ecco i contenuti della legge, che vi preghiamo di leggere con attenzione e che mettiamo da oggi a disposizione su Gaynews.it. Cosa ci dice questa legge? Che e d’ora in avanti la Regione Emilia-Romagna interverrà concretamente per contrastare le discrimimazioni verso le persone Lgbti nei settori di specifica competenza regionale, cioè la sanità, il lavoro, la formazione professionale, la scuola, la tutela dei beni culturali, lo sport. Certo la Regione non poteva intervenire su materia di chiara pertinenza parlamentare. Ma questo dimostra come sia sempre più necessaria una legislazione penale contro l’omotransfobia. E che ce ne sia reale e urgente bisogno lo dimostra, di nuovo, l’Emilia-Romagna: proprio nei giorni in cui si discuteva la nostra legge si sono verificati episodi molto gravi di omotransfobia, tutti denunciati con forza dal comitato Arcigay di Rimini.
Ricapitoliamo. Con questa legge l’Emilia-Romagna si aggiunge al novero delle numerose Regioni (Marche, Toscana, Liguria, Umbria, mentre in Puglia, Lazio, Calabria, Campania, Sardegna ne stanno discutendo) che si sono dotate di normative contro la discriminazione delle persone Lgbti. E sono norme così consolidate, ormai, che hanno resistito anche quando la destra è andata al potere.
Questo dimostra che bisogna avere non solo le idee chiare su cosa proporre e cosa chiedere, ma bisogna anche sostenere tatticamente queste idee con manifestazioni concrete e continue, dai Pride ai presidi, in tutte le regioni dove ancora mancano norme antidiscriminazione.
L’esperienza dell’Emila Romagna ci insegna molto anche a livello strategico. Sono stati presentati in Parlamento – da parte del Pd, di LeU, del Movimento 5Stelle – diversi e ottimi progetti di legge contro l’omotransfobia. Ma che futuro hanno, presi uno per uno? Considerando invece la somma dei vari gruppi parlamentari che hanno sottoscritto questi progetti di legge, vediamo che sono la maggioranza. E che, dunque, si potrebbe realizzare a livello nazionale lo stesso gioco di squadra che ci ha portato al successo in Emilia Romagna.
Il mio appello, dunque, è uno solo: insistere, insistere, insistere. Cominciando, magari, con un presidio permanente davanti al Parlamento.
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