La 24esima edizione di Mr Leather Italia si è tenuta a Padova dal 29 aprile al 1° maggio. Organizzata dal gruppo Leather Friends Italia e dal Leather Club Roma, l’evento (dedicato alle persone omosessuali, cultrici del leather fetish) si è concluso nella splendida cornice medievale del castello di Valbona, dove si è aggiudicato la fascia di vincitore il fiorentino Fabrizio Paletti.
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Per saperne di più Gaynews.it l’ha intervistato in esclusiva.
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Mr Leather Italia 2017. Fabrizio, perché hai deciso di concorrervi?
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Per tanti e tanti motivi.. Non scherzo nel dire che sono stato in parte pungolato anche dai premi: un bel paio di stivali nuovi da comprare, che non sono mai troppi. In realtà ci avevo pensato già qualche anno fa. Ma gli impegni quotidiani e l’attivismo, che facevo in ambito della Rete Genitori Rainbow come copresidente, non mi lasciavano spazio ed energie per fare molto altro, senza contare il lavoro e la famiglia, che sono per me prioritari, nonché l’attività fisica. Attività fisica, che giudico essenziale per mantenere un benessere di base a cui non posso rinunciare. Posso certamente aggiungere che mi hanno stimolato a partecipare degli amici. Anche il mio compagno era d’accordo. Una sera, poi, quando ne abbiamo parlato a tavola con mia figlia – che ci chiedeva cosa si sarebbe andati a fare a Padova a fine maggio -, le dicemmo del concorso e il mio compagno le buttò l’idea che anche io avrei potuto partecipare e vincere. La cosa fu accolta da mia figlia con tale entusiasmo da sorprendermi. Insomma è stato come buttare della benzina sul fuoco. E poi che dire di più? L’idea di dare un contributo alla comunità dei club leather, che mi ha accolto in questi anni e mi ha fatto conoscere tanti amici con gli stessi interessi, mi è sembrata qualcosa di importante per darle linfa vitale anche con un mio piccolo impegno. I candidati in Italia non sono mai tantissimi. La comunità non è enorme. Non tutti riescono a trovare il tempo o la serenità di vita per partecipare. In un momento, in cui avevo meno impegni personali e di attivismo, mi è allora parso utile investire su questo aspetto di me che mi accompagna da una vita.
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Quando e com’è iniziato il tuo interessamento per l’universo leather?
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Mi viene da porre a mia volta una domanda: Ma l’universo leather che cos’è? Io ho un interesse feticistico per gli stivali e l’abbigliamento in pelle che risale alla notte dei tempi. Ricordo l’emozione che provavo già da bambino quando indossavo gli stivali in gomma: mi sentivo forte e bello. Avvertivo la sensazione di essere protetto e avvolto. Sensazioni, queste, che tenevo dentro e ho sempre considerate un dono. Sensazioni, che ho poi coltivato nel vedere film con cowboy, cavalleggeri, uniformi di guerra: vedevo quei film alla tv e mi incantavo nell’ammirare uomini in atteggiamenti maschili, spesso rudi, ma per me incommensurabilmente belli. Che esisteva un mondo, che condivideva questa mia sensazioni, l’ho scoperto molto tardi con la nascita di internet. Nel ’94, digitando boots sul motore di ricerca Yahoo, mi si aprì un mondo che non potevo immaginare. Ma all’epoca ero sposato e mia figlia doveva ancora nascere. La mia omosessualità era soffocata anche se gli stivali rappresentavano un rifugio, un’idea di bellezza maschile che poteva appartenermi in qualche senso. Come se con gli stivali e le fantasie di possederli ed indossarli compensassi quel desiderio di contatto maschile, che mi negavo nella vita reale. Dopo la separazione fu questo canale che mi condusse a conoscere il primo ragazzo gay che abbia mai baciato. Scoprii allora siti specializzati su questi temi. Il mio primo contatto col mondo leather è però avvenuto molto tardi: nel 2010, quando partecipai alla prima festa leather della mia vita. Quella idea di poter indossare pubblicamente pelle e stivali nel mondo reale divenne allora una realtà grazie al club Leather Friends Italia, che era nato in quegli anni e che avevo conosciuto tramite facebook.
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Si può parlare di cultura leather? Quale significato ha a tuo parere?
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Ecco, come già detto, io ho vissuto fino a 30 anni circa ignorando completamente che esisteva questo mondo e questa cultura – o meglio sub-cultura – leather. E invece… Sin dall’antichità la pelle è stata utilizzata come mezzo di protezione e abbigliamento per lavorare. Ma aveva anche una sua connotazione di nobiltà: si usavano gli stivali per la loro funzionalità e per andare a cavallo. La pelle porta con sè immagini inizialmente associate all’universo maschile, virile, militare: stili di abbigliamento che si associano a un immaginario di complicità maschile, cameratismo, forza e potenza. Questi stimoli hanno condotto alcune persone gay a fondare i primi club per motociclisti (all’epoca non dichiaratamente gay perchè l’omosessualità era condannata e stigmatizzata) e a creare un tipo di socializzazione maschile non stereotipica, da cui ha avuto origine l’attuale sistema dei club leather e fetish. Essi si ritrovano ancora oggi in Europa nella stessa associazione internazionale denominata Ecmc (European Confederation of Motorcycle Clubs). L’azione di promozione sociale svolta dai club è fondamentale per creare legami, consapevolezza rispetto alla propria dimensione di omosessuali leather, iniziative di promozione e tutela delle persone Lgbt leather e feticiste nonché d’impegno per una sessualità sicura e per la prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale. A tal riguardo va detto che il mondo leather ha pagato, negli anni ’80 e ’90, il suo tributo di morti per complicazioni da Aids, finendone decimato. Mi fa piacere ricordare che attualemente sono attivi tre club in Ialia che promuovono iniziative per i gay leather e fetish: si tratta del Leather Club Roma, del Leather Friends Italia e del Leather Fetish Milano insieme ai club più strettamente legati al mondo dei motociclisti gay Comog e Gam.
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Tu appartieni anche alla “Rete Genitori Rainbow”. Quale è la tua esperienza e come è coniugabile con l’attuale titolo?
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Come dicevo, il mio interesse per l’abbigliamento in pelle e gli stivali nasce negli anni dell’infanzia. Nello stesso periodo avvertivo un’emozione che non sapevo spiegarmi quando vedevo alcuni dei ragazzi maschi che conoscevo. Sentivo un senso di ammirazione per loro: una sorta di desiderio di emulazione e di essere come loro. In poche parole mi attraevano. Purtroppo il mio ambiente familiare era fortemente omofobo e l’idea di essere “finocchio” la sentivo come un pericolo, una vera minaccia per la mia vita. Diciamo che a sette anni – eh sì, lo ricordo nettamente – mi ero convinto di voler avere una famiglia e dei figli. Mi ero inoltre convinto che i figli avrei potuti averli solo con una donna. Mica si poteva pensare di parlare di famiglie arcobaleno nel 1972. Erano anni in cui l’omosessualità era ridicolizzata in tv e se ne parlava solo in termini dispregiativi. Insomma l’omofobia familiare e sociale è stata per me un blocco forte, che ha impedito di ascoltarmi e seguire il mio istinto. Alle medie ho conosciuto una ragazza con cui ho avuto un rapporto molto bello di condivisione e di complicità: quello con lei è diventato per me un modello di relazione, un rifugio di ascolto e di senso. Ci siamo fidanzati a 17 anni e abbiamo condiviso tantissimo delle nostre vite. Sposati a 28 anni, siamo diventati genitori di Lavinia a 33. La nascita di mia figlia è stata per me la realizzazione di un sogno, di un progetto che avevo saldamente nel cuore da quando ero bambino. Non sono mancati i periodi di forte depressione negli anni di matrimonio: sentivo qualcosa di fortemente stonato dentro di me, soprattutto quando negavo a me stesso quello che sentivo nel vedere un bel ragazzo. Se poi questo indossava stivali o giubbotto di pelle, avvertivo un tale turbamento interiore da non parlare a nessuno anche per dei giorni. Posso dire che la mia sessualità è anche il frutto d’una omosessualità repressa e ulteriormente legata a questo stile di maschile connotato dall’abbigliamento in pelle e stivali. Qualcosa che ho assorbito dai film, dalla moda e dalla cultura dominante nei miei anni. Stile, che ho poi riconosciuto nell’arte leather, nei disegni erotici di Tom of Finland, nell’iconografia e nella letteratura leather fetish nonché collegata col mondo bdsm.
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Come Mr Leather quale contributo pensi di dare al movimento Lgbti italiano e qual è il tuo parere su di esso?
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Credo che anche nel mondo dell’attivismo Lgbti italiano il leather sia visto come un qualcosa di incomprensibile, strano e diverso. Almeno è questa la sensazione condivisa. Per cui, oltre a essere gay o lesbica o transessuale, se hai una sessualità non comune – cosiddetta kinky -, non vai bene, sei strano, forse perverso o malato. Questo pregiudizio l’ho subito io stesso anche dai miei compagni. Uno stigma aggiuntivo rispetto a quello dell’omosessualità: quello, cioè, della sessualità non conforme alle norme. Si dimentica che l’attrazione ha una sua dimensione misterica ed è legata all’immaginario nonché alle esperienze fatte. Ovviamente mi esprimo in modo poetico, non scientifico. Ma sappiamo bene che l’orientamento sessuale omosessuale è una variante naturale della sessualità umana come ormai è stato riconosciuto dall’Oms nel 1984. Orbene, anche le cosiddette parafilie – come il feticismo – sono state riconsiderate nell’ultima edizione del “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali”, redatto dall’Associazione degli Psichiatri Americani, e valutate come patologiche solo quando questa particolarità viene vissuta con disagio dalle persone.
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Pensi che l’Italia sia in ritardo sui Paesi nordeuropei riguardo allo sdoganamento dell’universo fetish?
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Sì, non c’è dubbio. La cultura sessuofobica dominante in Italia – che deriva dalla concezione peccaminosa del sesso – non facilita l’esplorazione di noi e delle nostre fantasie. Non aiuta le persone ad ascoltare le proprie emozioni e i propri desideri, creando in alcuni casi vere e proprie infelicità. Se ripenso alla mia depressione, ciò mi è molto chiaro. Ora, anche nel mondo Lgbti fare coming out rispetto alla propria sessualità non conforme può generare critiche, giudizi, considerazioni di esser sbagliati. Volendo far poi riferimento al radicato assioma del “fare e non dire”, la sessualità è qualcosa da nascondere e da non ostentare. Spesso si sente ripetere che “va nascosta anche ai Pride, perché altrimenti si riprendono i pochi diritti che ci hanno concesso e che certo ci devono bastare. Adesso che pretendiamo?”. Omofobia e sessuofobia interiorizzata non aiutano le persone Lgbti nel nostro Paese, anzi, a mio parere, rendono poco felici anche le persone eterosessuali. Al riguardo voglio chiudere col seguente aneddoto. La prima volta che misi piede in un negozio di abbigliamento leather fetish fu ad Amsterdam. Ero emozionatissimo. Chiesi al commesso di provare degli stivali e il mio battito cardiaco accelerò tantissimo per una emozione che non riuscivo a contenere. Il commesso se ne accorse e mi chiese se stessi bene e se volessi un bicchiere d’acqua. In quel momento entrò nel negozio una coppia etero. Lui portava sulle spalle una bambina di quattro anni circa. Tutti insieme si diressero allo stand dei vestiti in pelle, per vedere qualcosa che potesse indossare la donna. Per me quello è stato un totale rivolgimento di prospettiva. Altro che sdoganamento! La sessualità è un bisogno primario nella scala dei bisogni di Maslow. La sessualità è un diritto della persona come indica la Carta dei diritti sessuali emanata dall’Associazione internazionale dei sessuologi. Le sessualità, infine, sono infinite come gli esseri umani che la praticano in modo diverso a seconda della persona con cui la praticano. Mi chiedo come si possa allora pensare che la sessualità debba essere solo una e che venga svolta solo secondo certi canoni e modalità predefinite. È la fantasia ad alimentare la sessualità, l’amore, e la creatività è la base per una sessualità soddisfacente e per il benessere della persona. Ma forse il mio discorso potrà sembrare per qualcuno fantascienza.