Alcuni giorni fa, come riportato il 4 maggio 2017 dal quotidiano L’Avvenire, è stato avviato dall’Ordine degli psicologi della Lombardia un procedimento disciplinare nei confronti di Giancarlo Ricci laureato in filosofia e di professione psicoterapeuta, che in molti suoi scritti ha fatto ampio ricorso all’ormai tradizionale sfilza di luoghi comuni composta di “ideologia gender”, di “diritti senza responsabilità”, “euforia di libertà senza responsabilità”, di “vacillamenti antropologici”, di “rinascita dell’eugenetica nazista”. Ognuno di questi allarmi è ovviamente legato al riconoscimento delle famiglie omosessuali e dell’omogenitorialità. Giancarlo Ricci sostiene infatti che l’omofobia in Italia sia pressoché inesistente contrariamente a molte ricerche e a un vasto survey dell’Unione Europea che ci pone al contrario tra i Paesi più omofobi del continente.
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Com’è possibile – sembra chiedersi lo psicoterapeuta – che tali idee si diffondano? Ma è ovvio: è “il trucco dei media e la potenza delle lobby” con i loro “giochi di prestigio”. Per giustificare e anzi, si direbbe, festeggiare l’italica arretratezza sociale e legislativa su questi temi, Giancarlo Ricci si spinge fino a dividere l’Europa in “nordica” e “mediterranea”. La nordica sarebbe già in preda all’“ideologia gender”, mentre in quella mediterranea è giusto limitare l’accesso a certi diritti perché “la concezione stessa della sessualità dei legami sociali” è “storicamente differente”. Insomma, noi siamo mediterranei e qui ci sono i veri uomini e le vere donne, non c’è spazio per nient’altro e poco importa se le persone omosessuali, in Italia come nel resto del mondo, hanno gli stessi sogni, gli stessi desideri e cercano di fuggire dalle stesse sofferenze. Noi siamo mediterranei e dobbiamo accettarlo: se sei omosessuale è giusto che tu soffra, da noi si usa così.
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Lascia sconcertati la lettura di certe parole da parte di una persona che dovrebbe fare del benessere dei propri pazienti un obiettivo imprescindibile, specialmente quando dice che le persone possono “cambiare ‘liberamente’ la propria identità sessuale”. Riducendo a macchietta la spesso dolorosa ricerca e accettazione del sé e del proprio benessere, egli mina le fondamenta di fiducia umana che sono necessarie per un corretto percorso psicoterapeutico.
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Cercare però di capire le ragioni filosofiche di Giancarlo Ricci potrà aiutare a comprendere i suoi assunti. Egli sostiene che la funzione della famiglia è riproduttiva non solo in senso biologico ma soprattutto in senso culturale. Sostiene che solo con un papà e una mamma che procreano, per così dire, per conto proprio sia possibile che il figlio (sempre al maschile nei suoi scritti, stranamente) abbia delle radici e garantisca “la trasmissione della civiltà”. Al contrario un bambino avuto per vie, diciamo così, non biologicamente spontanee sarebbe “sprovvisto della storia della propria origine, del mito delle proprie radici perché queste sono oscure, ingarbugliate in una dissipazione simbolica in cui posti, funzioni e statuti sono stati confusi.” Insomma un guazzabuglio teorico-filosofico che non solo ignora la questione sostanziale (cioè: “il crescere in una famiglia omogenitoriale compromette automaticamente il benessere dei figli?”), ma ignora deliberatamente che sono oltre 30 anni che la scienza ha risposto a questa domanda con un sonoro e tondo “no! L’orientamento sessuale dei genitori non compromette il benessere dei figli.” È un “no” documentato da una montagna di studi e ricerche empiriche ben selezionate dalla University of Columbia, la quale elenca 75 contributi scientifici che lo dimostrano “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Ma si sa che taluni filosofi (anche quando fanno gli psicoterapeuti) hanno poca considerazione per i dati e per la scienza e a volte perdono gli ormeggi del mondo reale e cominciano a vagare nell’etere delle speculazioni astratte.
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Anche in questo caso però c’è da rimanere sconcertati, perché il Ricci sostiene posizioni e idee che lo stesso Lacan (al cui pensiero dichiara di rifarsi) ha smantellato. Lacan, in uno dei suoi contributi più importanti, ha infatti superato il concetto del ruolo genitoriale fondato sulla biologia o sulla parentela di sangue formulando il concetto di “funzione paterna” e “funziona materna”. Queste funzioni sono interiorizzate e indipendenti dal sesso, dal genere, dall’orientamento sessuale, dalla consanguineità, dalla parentela, dalla biologia e da ogni altro aspetto. Sono funzioni dettate dalla relazione e che un bambino o una bambina possono individuare in una grande varietà di soggetti. È proprio questa indipendenza simbolica e culturale dalla biologia che permette la crescita perché permette a figli e figlie di attingere i loro bisogni relazionali da fonti diverse nella loro costellazione affettiva. Se questo fosse possibile solo su base biologica oggi non saremmo altro che scimmie nude.
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Lo psichiatra Marco Lazzarotto Muratori ha fatto una disamina dei vari scritti di Giancarlo Ricci e ha individuato, oltre all’aperta condanna all’omogenitorialità, anche dei passaggi in cui lo psicoterapeuta sostiene che parlare di “funzione genitoriale” sia frutto di una “visione gender”. In suo articolo, intitolato Tesi contro l’omogenitorialità, viene dichiarato in modo inequivocabile che è «il sesso dei genitori, e non la “funzione genitoriale”, ad essere cruciale, al contrario di quanto sostiene, ad esempio, Lacan quando parla di funzione paterna.»
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Ci si chiede, e giustamente, se è giusto che il peso di tali affermazioni ricada su persone in situazioni di fragilità che vanno in cerca del benessere attraverso un percorso psicoterapeutico affidandosi a una professionalità che dovrebbe essere garantita dall’appartenenza all’Ordine degli psicologi. Si perda pure Giancarlo Ricci in tutte le sue astrazioni immateriali e infondate, non lo faccia però da psicoterapeuta ma da libero praticante di filosofia.
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