Tradizione e innovazione: è questo il dualismo programmatico che domina Libere, disobbedienti e innamorate opera prima della regista palestinese di cittadinanza israeliana Maysaloun Hamoud. La pellicola premiata a Toronto, a San Sebastian e all’Haifa Film Festival ha la particolarità di essere un film israeliano in lingua araba. Un ponte artistico, dunque, un interessante tentativo di dialogo tra culture, un dialogo troppo spesso rimandato a livello politico.
«Agli uomini non piacciono le donne che alzano la voce». Questo l’incipit del film. Ma un istante dopo, a proposito di dualismi, veniamo catapultati in un addio al nubilato tutto sesso, droga e rock and roll da far rabbrividire gli ambienti off londinesi.
Il titolo originale è In between (in arabo Tra terra e mare, in ebraico Né qui, né altrove) e le protagoniste sono tre ragazze palestinesi che convivono in un appartamento, nel quartiere yemenita alla periferia di Tel Aviv, zona che fermenta di stimoli e passioni underground. Qui le tre donne vivono al riparo dalla rigidità della società araba patriarcale ma scoprono presto, e a loro spese, il prezzo della libertà, confrontandosi con un contesto in cui vengono doppiamente discriminate, in quanto donne e in quanto palestinesi.
Leila è una penalista bella e disinibita che preferisce la vita da single al fidanzato, rivelatosi ottuso e conservatore. Salma è una dj stigmatizzata dalla famiglia cristiana per la sua omosessualità. Noor è una studentessa musulmana osservante (prega e indossa l’hijab) con un incombente matrimonio combinato con Wissam, fanatico religioso anaffettivo che non apprezza l’emancipazione delle coinquiline della futura sposa. Ostinate e ribelli, Leila, Salma e Noor fanno fronte comune contro le discriminazioni e le contraddizioni.
La sceneggiatura non sarà delle più originali e il tentativo di infarcirla di tutte le declinazioni più deplorevoli del maschilismo (di impronta musulmana o cristiana poco importa, fatto sta che il fondamentalismo religioso è sempre un problema) a volte può sembrare eccessivo, ma le scintille che si accendono durante la storia, come nello splendido finale muto con le tre eroine che fumano con gli sguardi distanti, ci restituiscono la forza di un’opera leggera e potente al tempo stesso, con una componente femminile decisa a deporre definitivamente il patriarcato padronale.
Israeliani ebrei e israeliani arabi, laici e religiosi, cristiani e musulmani: nessuno può sentirsi escluso, perché lo spettro del patriarcato, dal simbolico al doloso, si incarna progressivamente nei padri come nei fidanzati, predatori frustrati imprevedibili.
Quello di Maysaloun Hamound è dunque un film sensibilmente radicato nel panorama storico-politico della società israelo-palestinese e, nonostante la forte connotazione geografica e identitaria, non esclude ma integra elementi tipici del mondo occidentale (la copia di Alice nel paese delle meraviglie che Nour trova in camera accanto a un libro del poeta e politico palestinese Tawfiq Ziyad, oppure le birre di esplicita provenienza europea, oppure ancora i pullover Tom Hilfiger indossati dal musulmano reazionario) neutralizzando le distanze tra culture. Proprio per questa ragione la regista si è attirata una condanna religiosa in quanto eretica e peccatrice. Si tratta della prima fatwa palestinese emessa in 70 anni.
Non a caso nella città di Umm al-Fahm, popolata quasi interamente da cittadini arabi, il film non è stato accolto affatto bene, benché l’unica autorità maschile positiva della pellicola sia proprio il padre di Noor. Alle minacce di morte nei confronti della regista e delle tre attrici è seguito il divieto di programmazione della pellicola, straordinario tributo multiculturale e multigender alla libertà.
Insomma, Libere, disobbedienti e innamorate è un film escatologico sull’emancipazione femminile che destabilizza sempre e comunque: «Non si può cambiare il mondo in un giorno solo» – afferma uno dei protagonisti. Forse no, ma almeno possiamo provarci.