Enzo Cucco è il presidente dell’Associazione Certi Diritti. Associazione che ha al centro la laicità, la libertà, la democrazia ed è da da sempre impegnata per i diritti di tutti coloro che hanno sofferto abusi, discriminazioni e violenze a causa della propria sessualità.
Enzo, credi che tra ciò che accade in Cecenia alle persone Lgbti e ciò che accade nel nostro Paese sulla grande questione dello ius soli ci sia un filo rosso preoccupante?
Il filo rosso lo vedo soprattutto nell’atteggiamento che hanno i rappresentanti istituzionali del nostro Paese. Presidente della Repubblica, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri hanno avuto modo di vedere Putin in questo periodo e nessuna parola è stata pronunciata sui diritti umani calpestati dalla Russia o sulla situazione dei gay in Cecenia. Macron, Merkel e la stessa Mogherini si sono comportati in modo diverso: almeno glielo hanno ricordato a Putin. O, almeno, così hanno affermato pubblicamente in conferenza stampa pubblicamente. I nostri no. Ed è facile immaginare che dietro le grandi questioni politiche, che di solito si sollevano in queste situazioni, si celano interessi economici precisi. Come se i diritti umani possano essere barattati con un po’ di petrolio. Sono scandalizzato da questo atteggiamento ma non stupito. È la politica estera italiana in generale che usa il doppio registro: voce grossa con i deboli (vedasi il Messico) ed afonia nei confronti dei potenti. Eccolo il filo rosso più pericoloso.
Ogni anno si apre il dibattito sui Pride. C’è chi afferma che soni finiti i tempi dei Pride colorati e delle piume al vento. Che cosa ne pensi?
Si tratta d’un’enorme falsità. Sono le stesse persone che dicevano che il Pride fosse superato anche allora. Anche, quando lo facevano in splendida solitudine alla fine degli anni ‘70 e all’inizio degli anni ’80. Falso, perché è ancora essenziale il tema che era ed è al centro dei Pride: l’orgoglio ovvero la possibilità di vivere apertamente la propria sessualità senza che venga considerata peccato o malattia. O, peggio ancora, un “costume diverso che non ha bisogno di ostentazione”. Contro tutti i conformismi. Ma tutti tutti, compresi quelli dei gay e delle lesbiche.
Son passati molti anni dalle prime manifestazioni degli anni ’70 per i diritti delle persone Lgbti. Oggi quei messaggi hanno ancora un valore o sono superati dalla storia, soprattutto, con l’emanazione della legge sulle unioni civili?
Lo abbiamo detto sempre. La legge sulle unioni civili è solo un passo avanti verso la piena uguaglianza che è, e non può che essere, il nostro obiettivo finale. Uguali di fronte alla legge, perché le differenze di fronte alla legge su questi temi non sono giustificate dalla scienza, dalla società, dalla cultura. E non parliamo sulla morale che in quanto tale, per chi è liberale, è sempre e soltanto individuale e non può essere imposta per legge. Ogni posizione contraria giustifica, consapevolmente o no, la discriminazione. Sembra un controsenso ma questa legge, pur essendo un passo avanti, sancisce una differenza di trattamento, una discriminazione. Meno sensibile per le coppie omosessuali senza figli, più grave per quelle che li hanno. Ma sempre di differenza immotivata, quindi di discriminazione, stiamo parlando.
Negli ultimi mesi c’è stata una grande polemica sollevata dalla trasmissione Le Iene per un progetto approvato dall’Unar in tema di lotta alle discriminazioni a causa dell’orientamento sessuale. Insomma, il caso Andoss. È per te solo una questione scandalistica o ci racconta altro?
Non voglio tornare sulle questioni relative al tipo di comunicazione che fanno Le Iene. Mi sembrano gravi due cose, però, di cui quasi nessuno parla apertamente: il perché ci siano associazioni che ritengono che Anddos non abbia diritto ad accedere ai finanziamenti di Unar e il futuro di Unar stesso.
Del primo nessuno ha mai spiegato perché gestire saune sia disdicevole per chi chiede di accedere ai fondi Unar. Ma vale solo per le saune affiliate ad Anddos? La stesso Anddos, comunque, sembra aver fatto un passo indietro, avendo scelto di ritirare il progetto a suo tempo finanziato per togliere dall’imbarazzo l’Unar che non aveva motivi formali per ricusarlo, se non ritirando tutto il bando nazionale e facendo incavolare (con qualche ragione in verità) tutte le altre associazioni.
Sul secondo: nessuno più parla realmente dei compiti dell’Unar, dei suoi mezzi e delle sue potenzialità. Nessuno è realmente preoccupato da questo immobilismo che ormai dura da mesi, ben da prima delle dimissioni dell’ultimo direttore. Nessuno dice più che la Rete nazionale antidiscriminazioni è paralizzata da un Governo che dopo il caso Meloni e quell’insulto all’intelligenza che è la guerra al gender, si è talmente impaurito che ha bloccato tutto. Ho sentito poche voci e, anche molto generiche, su questo tema. Insomma, le solite generiche dichiarazioni. Mentre invece le associazioni mi sembrano molto interessate a sapere chi siederà su quella poltrona.
Se dovessi fare una critica al mondo dell’associazionismo Lgbti, quale approccio ne rappresenta la maggior debolezza sul piano della lotta alle discriminazioni?
Credo che la cosa più significativa che stia capitando è il sostanziale abbandono della politica di qualche anno fa che metteva insieme le associazioni che, a diverso titolo, si occupano di diritti umani in Italia. Cild è un esempio molto positivo e interessante su questo terreno o su specifiche questioni (il Rapporto Italia per l’Onu) ma vedo grande timidezza e autoreferenzialità delle associazioni. Potrei sbagliare, e spero di farlo, ma vedo che alla prova dei fatti le associazioni sono riluttanti nel delegare interamente a Cild quei poteri di cui ha bisogno. Faccio un esempio per farmi capire: per discutere del futuro di Unar, per esempio, al ministero sono stati molto più sensibili alle posizioni espresse da alcune associazioni. Che senso ha? Che conseguenze ha questa frammentazione per un Paese che fa un sacco di difficoltà a costituire e rispettare realtà di secondo livello? Posso anche essere più esplicito, giusto per farmi capire: se il ministro chiedesse alle associazioni cosa ne pensano del futuro di Unar, chi delle associazioni italiane è in grado di rispondere che esiste una posizione comune nella quale ci si riconosce, che è quella di Cild? E, incontrando Cild, al ministero hanno incontrato tutti?
Questo Paese sembra aver messo da parte da tempo l’idea della costituzione di un’agenzia indipendente per la lotta alle discriminazioni. Secondo te è problema più culturale o una scelta dei policy makers, che su questi temi preferiscono avere campo libero ?
Esiste una situazione italiana specifica su questo tema: la sostanziale non volontà di costituire un’agenzia indipendente per i problemi che essa può creare. E l’interesse personale di alcuni dei nomi più noti nell’ambito dei diritti umani, che ritiene di dover disegnare sui propri destini personali il Progetto di agenzia indipendente. Ovviamente la prima causa è di gran lunga la più pesante sulla nostra situazione, ma non sottovaluterei la seconda. Io che sono un inguaribile ottimista penso che dalle crisi possa sempre nascere un guizzo di novità positiva. E quindi non ho smesso di sperare che dalla crisi dell’Unar, che stiamo tutti vivendo, possa nascere qualcosa di nuovo. Ma non vedo segnali. O gli stessi sono talmente impalpabili e poco verificabili che non me ne sono accorto.