Marco Prato era un mostro? Probabile. Che sia stato trasformato in un mostro al quadrato, invece, è certo. È stato usato e raccontato come massimo emblema del deprecabile, dell’orrido, del marcio. Non un omicida ma la follia omicida personificata. Non un drogato ma la personificazione della “droga che uccide”. Non un assassino ma un assassino perverso e omosessuale. Un vero e proprio capro espiatorio perfetto per il benpensante medio. Quello che non possiamo ignorare è che questo processo è nato, nonostante la buona fede, all’interno della comunità Lgbti, dove per comunità intendiamo alcuni media di settore e alcuni attivisti E così Prato è diventato insomma un mostro al quadrato.
Prato uccide Luca Varani insieme a Manuel Foffo in un festino a base di alcol e droga. Questa era la notizia iniziale di quel marzo dello scorso anno. Poco dopo, senza che ce ne rendessimo conto, improvvisamente il festino diventa festino gay. In un’altra intervista Prato diventa “uno di noi” (della comunità Lgbti) e ed escono titoli dal tenore Viaggio nelle dark room frequentate dai killer. Con la buona intenzione di approfondire, purtroppo, sono state alcune testate Lgbti a fare tutto questo, seguite subito dalla grande stampa.
Improvvisamente è sollevato il tema del chem sex tra le persone omosessuali, come tra quelle etero non esistesse. Si consuma in pochi giorni un vecchio equivoco colossale: fenomeni che derivano dalla pressione sociale, dal vissuto di privazione dell’identità e di repressione della sessualità che vivono le persone Lgbti, vengono invece presentati come “stili di vita gay” da correggere, come questioni sulle quali “la comunità gay deve interrogarsi”. Quale comunità – se quella degli attivisti, delle persone che si incontrano nei locali o semplicemente l’insieme di tutte le persone Lgbti – non è mai stato chiaro. L’espressione comunità Lgbti o gay community ha principalmente due significati: la comunità dell’attivismo e delle associazioni oppure la comunità delle persone che si incontrano nei locali gayfriendly.
Al di fuori di tutto questo non ha senso parlare di comunità, poiché le persone Lgbti non sono circoscritte da alcun territorio, religione, cultura, etnia, lingua, tradizione. Il linguaggio usato per parlare del caso Prato-Varani ha invece portato l’opinione pubblica sulla strada di un “mondo gay”, fatto di ogni genere di perversione e violenza omicida, compiendo una generalizzazione senza precedenti. Le intenzioni di chi ha aperto questo tema erano chiaramente altre, ma il risultato è stato mediaticamente devastante. Se i gay sono perversi e potenziali assassini è perché sono gay, quasi come si trattasse di questione di dna. Questo è il messaggio che è passato, per la felicità dei nostri detrattori.
Esiste un problema di chem sex tra le persone Lgbti? Può darsi, ma si tratterebbe pur sempre di un problema che riguarda anche le persone etero. Dovrebbe dunque essre la società intera ad occuparsene non la “comunità gay. Esiste un problema di “solitudine gay“, come titolava qualche mese un articolo su Internazionale? Bene, è prima di tutto un problema di solitudine, perché nessuno si pone il problema della “solitudine etero”.
Questo modo di trattare la vicenda ha gettato le basi per costruire la narrazione del Marco Prato gay, pr, cattivo, mondano e perverso e di un Manuel Foffo, invece, etero, di buona famiglia, traviato e portato sulla cattiva strada. L’unica “fortuna” di Foffo, a parte quelle di avere un padre disposto persino a difenderlo nel salotto di Vespa, è stata quella di essere percepito come “etero”. Perché quello del “festino gay”, tirato fuori purtroppo dalle nostre testate, era invece Marco Prato. Di tutto questo abbiamo ancora avuto uno strascico pochi mesi fa, con titoli della serie Shock, Marco Prato era sieropositivo. Come se fosse una tipica caratteristica degli assassini, in particolare modo di quelli che frequentano i festini gay, le dark room e via discorrendo.
Le parole sono importanti e l’origine della speculazione mediatica su Prato è proprio qui. Adesso fioccano i commenti da tribunale popolare. Di quanti gioiscono per “il mostro” che muore godendo di una vendetta di sangue che è quanto di più lontano ci possa essere dalla civiltà. Aprono uno spiraglio di luce le parole dell’allora fidanzata di Luca Varani, Marta Gaia Sebastiani: “Una vita è una vita. Sono scioccata per quanto accaduto. Solo due parole : silenzio e rispetto per il lutto delle famiglie“. Queste parole ci ricordano che l’umanità e il senso della civiltà esistono ancora. E che forse dovremmo aprire una seria riflessione anche sulla vita nelle carceri italiane, perché un suicidio con un sacco di plastica in testa e una bombola del gas comunemente usata per cucinare in cella senza che nessuno si accorga di nulla, lascia molto da pensare.
Per tutti noi che invece scriviamo di temi Lgbti, compreso il sottoscritto, serve invece una profonda riflessione sul modo di affrontare l’universo di problematiche che riguardano le persone Lgbti. Una regole aurea potrebbe essere quella di chiedersi un po’ più spesso: “Parlerei mai di questa cosa definendola etero?”. Alle nostre penne e al nostro buon senso le risposte.