Il seno per gli antichi aveva un valore religioso. Si pensi alla Venere di Willendorf, conservata al Museo di Storia naturale di Vienna. Si tratta di una statuetta scolpita circa 25mila anni fa da antenati che veneravano la divinità femminile in una società matriarcale. Quel “religioso” antico però era qualcosa di molto diverso rispetto a quel che è oggi per noi la religione, ossia una tradizione sterile da contrapporre ad altre (non mi riferisco ai fedeli veri, ma al senso comune della religione, che è in generale ben poco sviluppato). Per gli antichi la religione era uno strumento di conoscenza.
Banalizzando un po’, ma neanche troppo, possiamo dire che le tette erano di fatto uno strumento di conoscenza. Che c’entra la cultura in tutto questo, direte voi? Ecco la risposta: “cultura” è “coltivazione”, stando all’etimologia. Coltivazione della conoscenza. Il seno dunque, e più in generale l’aspetto corporeo dell’esperienza, anche religiosa, aveva per gli antichi un valore culturale che noi oggi abbiamo in gran parte perduto. Questo valore non si è perduto allo stesso modo in ogni luogo.
Basti guardare l’immagine di Qusayr Amra. Di cosa si tratta? È arte islamica. Un affresco realizzato nella residenza dei piaceri del califfo al-Walid I, in Giordania, all’inizio dell’VIII secolo, un sito oggi protetto dall’Unesco dove sono raffigurate innumerevoli scene di caccia e di piaceri, come questa ancella seminuda che esce dal bagno, che ci raccontano di un Islam agli albori molto diverso dall’immagine stereotipata che potremmo farci di donne col velo, aniconicità dell’arte e tutto ciò che caratterizza la cultura musulmana, specie quella più reazionaria, di oggi. Questa antica libertà, molto più avanzata dell’Occidente cristiano degli stessi secoli, non ha purtroppo avuto grande fortuna. Nemmeno in Occidente.
Perché si perde questa libertà? Perché si comincia a negare al sesso il suo valore culturale. Viene ridotto a pura meccanica, a pura funzione.
Così in Europa, nella Roma dei papi, quando Caravaggio dipinge la Madonna dei Palafrenieri per la cappella di Sant’Anna in San Pietro nel 1605, il dipinto viene accolto con poco entusiasmo, per usare un eufemismo, se ancora decenni dopo Giovan Pietro Bellori – un grande teorico ma comunque un figlio del suo tempo – parla della Vergine rappresentata “vilmente”, per via di quel procace seno offerto senza filtri alla vista dei fedeli. Il seno e il ventre di quella Madonna che pure aveva accolto Dio stesso deve essere censurato, negato, mortificato. Ci troviamo davanti alla negazione del valore religioso e dunque culturale, di conoscenza, del sesso; persino nella sua più ampia e sacra accezione cristiana, quella del seno che aveva allattato Gesù.
E cos’è questa se non una de-culturazione? Una volontaria privazione di uno strumento di conoscenza può portare ad un solo risultato: l’ignoranza. Cosa fiorisce dove manca la cultura? Solo la violenza. La violenza della censura, del totalitarismo, della prevaricazione, la violenza del fascismo.
Il fascismo, sì. Il fascismo di quel manifesto, comparso nelle strade di Roma pochi giorni fa, che mostrava l’immagine di un dipinto con una donna che allatta il suo bambino con la scritta: L’Italia ha bisogno di figli, non di unioni gay e immigrati. Un manifesto fascista negli intenti e nel retropensiero. Fascista perchè non considera le donne soggetti ma oggetti della propaganda; perché parla di unioni gay senza considerare le lesbiche e senza valutare il fatto che quella donna nell’immagine (che è un dipinto di Gino Severini del 1916, Maternità, conservato all’Accademia Etrusca di Cortona) potrebbe in effetti essere una madre lesbica.
In conclusione, il sesso e tutto ciò che è ad esso legato, il corpo, le tette, sono uno strumento di conoscenza e hanno un valore culturale. Il sesso non solo è cultura, ma deve esserlo, perché la cultura, la brama di conoscenza, è il solo antidoto alla violenza. Ricordatevelo quando nelle strade d’Italia marceremo per dichiarare il nostro orgoglio, e ricordate che anche la stessa Città Eterna fonda il proprio mito sulla tetta della lupa che allattò Romolo e Remo e che era, come ricorda Tito Livio, una probabile prostituta. Alla faccia dei fasci. Viva il sesso, le tette, la cultura, l’orgoglio. Viva il Pride.