Sull’incremento dei casi di persone Hiv positive e sui metodi di prevenzione si riaccende peridiocamente la polemica. A dividere gli animi è soprattutto uno strumento come la PrEp (o profilassi pre-espositiva), di cui il più delle volte si parla senza effettiva contezza. Per saperne di più, Gaynews ha intervistato Michele Breveglieri, responsabile nazionale di Arcigay per il settore Salute.
In questi giorni si è tornati a discutere nella collettività Lgbti sulla PrEp. Innanzitutto, che cos’è e come funziona?
PrEP sta per Profilassi pre-esposizione. In pratica è un farmaco antiretrovirale, usato normalmente per curare persone con Hiv, che una persona sieronegativa può invece assumere prima del sesso per evitare di prendere l’Hiv. Al momento solo uno è registrato a questo scopo: Truvada. Protegge solo dall’Hiv ed è un farmaco che va assunto quotidianamente o con una posologia specifica al bisogno (quattro pillole nei giorni intorno a quello in cui si fa il sesso da proteggere). In pratica, per dirla in parole povere, è un farmaco che, con la giusta concentrazione nel sangue, impedisce al virus di attecchire e replicare. Deve però esserci una sufficiente concentrazione affinché sia efficace ed è per questo che il modo in cui lo si assume è essenziale. Se preso nel modo giusto, ha un’efficacia altissima e paragonabile al preservativo, sul lungo periodo. Del resto non staremmo qui a parlare di PrEP se in 30 anni di epidemia fossimo riusciti a convincere tutti a modificare il proprio comportamento sessuale sempre e comunque usando il preservativo costantemente a ogni incontro. Se stiamo ai dati Emis del 2010, su oltre 16.000 uomini che fanno sesso con uomini (MSM) in Italia, tra coloro che avevano fatto sesso con partner occasionali nell’ultimo anno il 40.4% non aveva usato il preservativo almeno una volta nel sesso anale. Oggi, puntando anche su altri strumenti complementari, prendiamo atto del fatto che il preservativo è uno strumento che ha grande efficacia preventiva, ma anche alcuni limiti intrinseci, e ci avvantaggiamo di uno strumento in più che evidentemente interferisce meno, per alcuni, con la dinamica spontanea del sesso. Il vantaggio della PrEP, come anche della TasP (la strategia che si basa sulla evidenza che una persona con Hiv in terapia e carica virale non rilevabile da almeno sei mesi non trasmette il virus, non è infettiva), è questo. Lo svantaggio è che potrebbe associarsi a una maggiore diffusione di altre infezioni sessualmente trasmissibili spesso considerate minori, se usata costantemente in sostituzione del preservativo. Gli effetti collaterali sono un altro svantaggio, ma sono minimi e quelli più importanti (penso ai danni ai reni o alle ossa) hanno in realtà effetti reversibili una volta che si smette di assumere il farmaco.
Qual è la posizione di Arcigay?
Favorevole. Arcigay ha discusso del tema anche nell’ultimo congresso, uscendo con una posizione chiara sulla “prevenzione combinata”, ovvero sulla strategia secondo cui a ogni bisogno individuale di prevenzione deve corrispondere lo strumento più adeguato, e la prevenzione è una sinergia di azioni combinate, non è più solo “preservativo”. C’è il preservativo e gli altri strumenti “di barriera”: c’è la PrEP, c’è la TasP, ci sono le azioni di testing diffuso e che deve essere sempre più accessibile, ecc. Oggi la PrEP è già prescrivibile in Italia ma non è accessibile a causa dei costi. Ci stiamo battendo, assieme ad altre organizzazioni, affinché sia accessibile in un modo o nell’altro. Abbiamo co-firmato documenti, stiamo collaborando anche nell’ambito del Piano nazionale Aids del Ministero e di altri documenti istituzionali di indirizzo affinché la PrEP diventi strumento di prevenzione. La posizione è chiara.
La discussione sulla PrEP mette in evidenza anche l’aspetto commerciabile e i grandi guadagni che le case farmaceutiche possono avere. Che ne pensi in proposito?
In generale, penso che in un regime capitalistico questo è. Ma l’efficacia è scientificamente provata, non l’ha decisa il capitale. Mi pare un po’ riduttivo subordinare ragionamenti di efficacia a ragionamenti dietrologici sull’interesse economico. Ne capisco il valore critico, ma dal mio punto di vista conta di più il fatto che una persona non si infetti. Peraltro, una volta introdotto il generico Truvada, credo che sia più quel che non guadagnano a causa del calo di nuovi infetti. Ricordiamoci che allo stato attuale una persona sieropositiva vive una vita lunga come tutti gli altri. Sotto farmaci. Che hanno un elevato costo. Il costo evitato (traducibile in mancato guadagno per altri) non è indifferente. Semmai mi preoccuperei di più del fatto che il generico sia introdotto presto, per accelerare l’accessibilità. Il brevetto di Truvada scade in questi giorni, ma Gilead ha una protezione aggiuntiva fino al 2020, a meno che non vi rinunci. Il mantenimento e il rispetto di questa protezione è evidentemente un problema che ci auguriamo sia superato al più presto.
Sappiamo che riguardo alla prevenzione e all’informazione su Hiv e malattie sessualmente trasmessibili l’Italia presenta molti ritardi. Quali sono quelli maggiori e quali quelli più urgenti da affrontare?
Guarda, proprio perché la chiave per battere l’Hiv definitivamente è la prevenzione combinata, i ritardi del nostro Paese sono davvero dannosi. E sono tanti. Non si tratta solo di informazione. Si tratta di strategia che manca da tempo. Ora il Ministero, anche grazie a noi e ad altre organizzazioni che siedono nella sua sezione consultiva sull’Hiv, ha definito per la prima volta in trent’anni un Piano nazionale per sconfiggere l’Hiv, dove c’è tutto quel che serve. Allo stato dei fatti, è un ottimo strumento di pressione utilizzabile dalle organizzazioni di lotta all’Hiv, ma non so quanto stringente sul piano dell’impegno concreto della sanità pubblica, che è demandato alle Regioni. Non c’è impegno economico nazionale per sostanziare tutto ciò che c’è scritto in quel piano. Ma per tornare alla tua domanda… In un mondo della prevenzione che cambia e diventa sempre più complesso perché combina strumenti diversi e si orienta a target differenziati, devi avere una visione che tenga insieme tutto: dovresti avere centri clinici di salute sessuale che non solo fanno il test Hiv o danno la PrEP, per esempio, ma che fanno un check up completo di tutte le altre Mst, dovresti avere l’intelligenza di fare campagne differenziate con linguaggi differenziati a seconda delle persone a cui ti stai rivolgendo (uomini gay o persone trans, migranti, popolazione generale, donne, sex workers, ecc.), dovresti investire in quei servizi di comunità che aumentano l’accessibilità delle persone delle comunità più esposte, dovresti avere una comunicazione pubblica aggiornata (ad esempio col Numero Verde Aids del Ministero, per dirne solo una) che tiene conto di tutti i nuovi strumenti (TasP, PrEP, i servizi di testing rapido di comunità, ecc.). Ad oggi direi quasi niente di tutto ciò.