Il 28 settembre nelle sale cinematografiche italiane uscirà Una famiglia, film drammatico diretto da Sebastiano Riso, con Micaela Ramazzotti, Patrick Bruel, Fortunato Cerlino, Marco Leonardi, Matilda De Angelis, Ennio Fantastichini.
Il film parla della relazione tra Vincent e Maria che abitano alla periferia di Roma e conducono una vita apparentemente ordinaria. Eppure, a uno sguardo più attento, quell’apparenza di normalità lascia trapelare un progetto portato avanti da Vincent con lucida determinazione e accettato da Maria in virtù di un amore senza condizioni. Un progetto che prevede di aiutare a pagamento coppie che non possono avere figli. Quando Maria intuisce di essere alla sua ultima gravidanza, un egoistico istinto materno prevale sull’ambiziosa visione del compagno. Maria decide che è giunto il momento di formare una sua famiglia. La scelta si porta dietro una conseguenza inevitabile: la ribellione a Vincent, l’uomo della sua vita.
Il film, in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, affronta in maniera “documentata” il mercato nero dei bambini e la pressante esigenza di genitorialità di coppie che non riescono a soddisfare questo desiderio.
Incontriamo Sebastiano Riso all’indomani del suo ritorno dal successo di Venezia.
Sebastiano, di cosa parla, in sintesi, Una famiglia?
Parla di un rapporto sentimentale fortissimo tra un uomo e una donna, un rapporto che rasenta la patologia perché i due stanno insieme per perseguire un business, cioè il mercato nero di bambini. Un mercato che è sempre esistito. Noi abbiamo fatto delle vere e proprie indagini per capire quanto questo fenomeno sia radicato e quanto sia serio.
Come avete proceduto in queste indagini?
In primis, abbiamo raccolto la profonda disperazione di questi aspiranti genitori, che potremmo essere io e il mio compagno, che in Italia non possono adottare e non sono ritenuti idonei all’adozione né possono avere figli in altri modi e allora ricorrono al mercato nero. Un mercato che esiste dall’estremo nord all’estremo sud: i bambini vengono venduti a prezzi diversissimi e abbiamo capito che spesso sono gli stessi ginecologi che iniziano giovani coppie a questo tipo di mercato. Poi lo sanno tutti: in Italia registrare un bambino all’anagrafe è molto semplice e questa è una cosa paradossale perché da un lato le leggi non ci rappresentano, dall’altro, invece, la burocrazia incoraggia questo tipo di mercato.
Tra le coppie protagoniste del film, c’è anche una coppia gay…
Certo, nel film abbiamo raccontato anche la storia di una coppia omosessuale, una coppia in cui mi sono molto identificato e c’è Ennio Fantastichini che interpreta il personaggio che potrebbe assomigliare al mio compagno. Io ho dato una grande responsabilità a questa coppia e ho cercato di rendere questa relazione quanto più normale possibile perché sono stufo di vedere film in cui le coppie gay vengono raccontate in maniera edulcorata o politicamente corretta. Io ho affrontato questa coppia cercando di renderla vicina alla realtà, i personaggi di questo film sono tutti segnati dalla disperazione e anche nella coppia omosessuale c’è disperazione per il diritto frustrato di essere genitori. Mi aspetto che gli spettatori empatizzino molto con questa coppia ma non in quanto omosessuali ma in quanto espressione di un’autentica e profonda disperazione.
Voglio chiarire che il film non dà risposte ma vuole porre seriamente delle domande perché non si può ignorare che gli omosessuali abbiano un forte desiderio di genitorialità. Anche io ho un desiderio molto forte di genitorialità.
Tu e il tuo compagno avete mai pensato di vere un figlio?
Io e il mio compagno abbiamo riflettuto tante volte su come agire per realizzare questo desiderio. Io non riesco a pensare di soddisfare questo diritto in cambio di denaro, lo trovo inaccettabile perché so che ci sono tantissimi bambini che potrebbero essere adottati. Per me questa è l’unica strada e spero di poterlo fare in futuro. Spero che le cose cambino e che presto le persone omosessuali possano adottare liberamente .