Opinionista, giornalista, conduttore radiofonico e televisivo, attore e anche scrittore, Costantino della Gherardesca è senza dubbio uno dei personaggi più amati del momento. Dal 13 settembre, poi, la sua presenza di personaggio mediatico è nuovamente rivitalizzata dalla sesta edizione di Pechino Express, il format di successo che sta attualmente conducendo gli affezionati telespettatori sulle orme delle otto coppie in viaggio verso il Sol Levante.
Un’edizione resa ancora più scoppiettante e gayfriendly dalla presenza della coppia dei modaioli, formata dallo stilista Marcelo Burlon e dal fashion filmaker Michele Lamanna, e dal recentissimo quanto originalissimo coming out di Guglielmo Scilla.
Incontriamo Costantino qualche giorno dopo la presentazione napoletana di Punto, libro feroce e paradossale con cui il conduttore di Pechino Express fa il proprio esordio come scrittore.
Costantino, iniziamo proprio dal tuo primo libro, Punto, edito da Rizzoli. Di cosa si tratta?
Punto è un manuale d’autoaiuto contro la paura del progresso. Nel libro sottolineo tutti gli aspetti della società italiana in cui emerge la paura delle innovazioni. Dobbiamo uscire da questa mentalità. La regola d’oro per uscire da questa mentalità è diffidare dalla semplicità. Molti scrittori, anche stimati intellettuali, inneggiano attraverso i media a una vita semplice – penso ad Erri De Luca e Corona – e esaltano la vita condotta in campagna, coltivando propri orti, in alloggi frugali. In realtà, questi individui possono permettersi di esaltare un simile stile di vita perché, magari a pochi metri dalla loro capanna, c’è un ospedale modernissimo in cui andare se stanno male. Insomma, bisogna integrarsi nel futuro, non bisogna avere paura del futuro e delle innovazioni.
E nel libro spiego anche il fenomeno della ricerca dei consensi nel mondo dell’informazione, poiché troppi giornalisti non fanno più informazione ma sono solo alla ricerca compulsiva dei likes e calibrano il proprio articolo e la propria informazione su questa “esigenza” determinando la morte dell’informazione pratica. Mentre in Germania sono entrati in un’era post-ideologica e le riviste, anche grazie all’influsso di Angela Merkel, non parlano più di beghe interne ma affrontano questioni legate all’informazione tecnica e al progresso.
Passiamo adesso al successo di Pechino Express. Cosa differenzia l’edizione 2017, la sesta, dalle precedenti?
Ci sono tre grandi differenze tra questa edizione di Pechino Express e le precedenti. La prima è che abbiamo preso un cast molto poco televisivo, di persone note in ambiti diversi, per differenziarci dai reality Mediaset che ormai hanno fatto il proprio corso. La seconda è che quest’anno faremo vedere ancora di più la vita delle persone nei luoghi che visiteremo, cioè nelle Filippine, a Taiwan e in Giappone. Infine, mentre in tutti i Pechino Express precedenti, i concorrenti viaggiavano in Paesi più poveri dell’Italia, stavolta, escluse le Filippine in cui vi sono ancora situazioni di comprovato disagio, sia Taiwan sia il Giappone sono realtà molto più ricche dell’Italia. Quindi, per la prima volta nella storia di Pechino Express i concorrenti saranno visti un po’ come dei disgraziati, diciamo come un leghista vedrebbe un Rom.
Credi che una trasmissione gayfriendly come Pechino Express sia utile per scardinare l’immaginario collettivo e abbattere il pregiudizio omotransfobico?
Pechino Express ha sempre avuto concorrenti sia gay sia trans, senza neppure dichiararlo. Noi abbiamo sempre dato per scontato che sia normale che ci fossero concorrenti Lgbt. Io credo che ci si debba aprire verso il mondo e che il vero problema oggi in Italia non sia tanto la discriminazione verso le persone Lgbt quanto la diffidenza verso tutto ciò che non si conosce. Per esempio, la diffidenza verso i migranti e i musulmani. E una trasmissione come la nostra, che mostra altre culture e altri stili di vita, apre al mondo e abbatte pregiudizi.
Avevi intuito, durante le riprese della trasmissione, che Guglielmo Scilla era gay? Come consideri il suo coming out?
Io avevo capito che Gugielmo era gay ma lui è una persona molto riservata. Credo perciò che il suo coming out sia stato importante soprattutto per lui. Guglielmo non parlava mai della sua vita personale e dei suoi amori. Questa cosa mi ha subito messo sull’avviso. Mi ha fatto subito pensare che fosse gay. E quando ha fatto il suo coming out mi sono complimentato con lui e l’ho sostenuto anche coi giornalisti.
Quale atteggiamento è vincente, a tuo parere, contro la violenza e il pregiudizio?
Alla violenza e al pregiudizio si risponde con l’atteggiamento che ho adottato io quando ero ragazzino: cioè non rendersi mai vittima, impugnare il coltello dalla parte del manico, essere forti e farsi valere. Questo è un atteggiamento che – a mio parere – funziona in molte circostanze, anche sul lavoro. Non bisogna farsi mettere i piedi in testa da nessuno.
Infine, Costantino della Gherardesca è mai stato vittima di bullismo?
Quando ero molto giovane sono stato oggetto di bullismo, perché andavo in un collegio fascista e sono stato vittima di varie angherie. Una volta, per esempio, mi hanno fatto correre a piedi nudi sulla neve. Ma quello che non ti uccide, ti fortifica e grazie a quest’esperienza mi sono “corazzato”, ho fatto coming out molto presto e mi sono fatto valere. Poiché erano molto aggressivi con me, io ho maturato una risposta altrettanto forte e determinata.