Si è tenuta stamane presso l’Hotel Sofitel Roma Villa Borghese la conferenza stampa del film 120 Battiti al Minuto, che sarà proiettato in anteprima questa sera presso il Cinema Eden alla presenza del regista e del cast
La pellicola, che uscirà in Italia il 5 ottobre, è stata scritta e diretta da Robin Campillo. Siamo a Parigi nei primi anni ’90 del secolo scorso: gli attivisti di Act Up (associazione nata nel 1989 nella capitale francese) lottano per rompere il silenzio sull’epidemia di Aids che proprio in quegli anni vede mietere numerose vittime. Su questo sfondo si dipana la storia di Nathan che decide di unirsi ai volontari di Act Up e condividere con loro anche azioni di protesta spettacolari. Azioni che sono una riprova della rabbia verso un establishment, la cui passività e i pregiudizi avevano prodotto una gestione irresponsabile di ciò che stava accadendo.
Una passività, un pregiudizio, uno stigma che comunicavano anche un messaggio sbagliato relegando “la malattia” solo alle persone omosessuali, drogate o a quelle che vivevano fuori dalla “regole”. È un film sulla presa di coscienza e della partecipazione attiva delle persone sieropositive e non solo. L’azione concreta di un’associazione che si era resa conto che la comunità sociale e non solo andava istruita. Vi era la voglia di essere visibili e tutto avveniva anche nel limite della legalità. E questo limite diveniva la forma più importante per far sentire la propria voce. Il film è stato selezionato per rappresentare la Francia ai Premi Oscar 2018 nella categoria Miglior film straniero. Lo stesso presidente della giuria Pedro Almodóvar ha espresso la sua commozione.
Presenti alla conferenza stampa, abbiamo chiesto al regista Robin Campillo:
Secondo lei qual è oggi rispetto al passato l’esperienza della sieropositività?
Dobbiamo dire che all’epoca avere una diagnosi di sieropositività e di Aids era una come una sentenza senza futuro e molte erano le difficoltà che le persone avevano per andare a fare il test, perché la paura era terribile. Anch’io subii questa paura. E il silenzio cadeva non solo fra le altre persone sieropositive ma anche nella stessa comunità Lgbti. Essere sieropositivo oggi è meno problematico: dà meno inquietudine e più che nel passato si vive e si può vivere.
Tuttavia le persone hanno paura di andare a fare il test, comprese quelle che avevano 20 anni all’epoca dei fatti. C’è bisogno di una maggiore comunicazione e dare maggiori informazioni sulla prevenzione, sulle diagnosi e sulle possibili terapie che sono molto avanzate. E, non dimentichiamo, inoltre, che oggi sussiste ancora un forte stigma nei riguardi delle persone sieropositive e omosessuali. Uno stigma che era assurdo nel passato e che lo è ancora di più oggi.