Una Stonewall letteraria: si può definire così l’arte prometeica di Touko Laaksonen che, con lo pseudonimo di Tom of Finland, è stato uno dei pionieri dell’arte omoreotica, come racconta in maniera esemplare il biopic di Dome Karukoski, già proiettato a Firenze il 30 settembre e a Roma il 12 ottobre nell’ambito della rassegna Lgbti dell’Acrobax.
Il film, che ha inaugurato la 32° edizione del Lovers Film Festival di Torino, in Finlandia è stato insignito di vari riconoscimenti, tra cui il premio Fipresci al Festival di Göteborg ed è stato selezionato per rappresentare la Finlandia ai premi Oscar 2018 nella categoria miglior film in lingua straniera.
Per pura coincidenza, poi, come ha sottolineato lo stesso Karukoski, il film è uscito nelle sale in un periodo perfetto. E non solo perché si festeggia il 100° anniversario della Finlandia indipendente ma anche perché, proprio mentre il film su Tom of Finland è stato distribuito nel Paese, il Parlamento ha legalizzato il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Un film di coraggio, di amore e di liberazione. Una ricostruzione d’epoca precisa ed emozionante che narra la vicenda di un uomo che, con le proprie illustrazioni, ha infranto lo stereotipo dell’uomo omosessuale trasfigurandolo in un’immagine di fiera e orgogliosa virilità. Il film di Karukoski porta sul grande schermo la piccola-grande rivoluzione di Touko Laaksonen che, con le sue oltre 3.500 illustrazioni caratterizzate da una forte sessualità, in cui vengono raffigurati uomini muscolosi con peni di grosse dimensioni, ha influenzato la cultura gay del XX secolo, alimentando sia quella forma di leather culture poi portata al cinema da mostri sacri come R. W. Fassbinder (Querelle de Brest) o William Friedkin (Cruising), sia il look in pelle che ha ispirato artisti di fama mondiale come Freddie Mercury, Frankie Goes to Hollywood e, naturalmente, Glenn Hughes, il leatherman dei Village People.
Ma il film non si limita a narrare la carriera artistica di Laaksonen ma, anzi, dà ampio spazio alla sua vita. Una vita segnata dall’esperienza traumatica della seconda guerra mondiale. Infatti, fu proprio durante il conflitto bellico che Laaksonen uccise un soldato russo e in seguito, tormentato dal senso di colpa, ritrasse il volto di quell’uomo, sogno e incubo delle sue notti, nelle sue opere di maggior successo. Esercizio a metà tra la volontà di esorcizzare il dolore e l’utopia di restituire la vita.
Fatto sta che Laaksonen è stato il primo artista a erotizzare il mostro del nazifascismo trasfigurandolo in una sorta di esplosivo manifesto del Bdsm, fatto di fantasie impronunciabili e recondite che, in seguito a questa metamorfosi artistica, assumono anche un valore politico e di concreto ribaltamento del male e del delirio maschilista del regime..
Considerando l’argomento del film, in realtà la pellicola contiene molto poco sesso e, al contrario, si concentra sulle lotte che Laaksonen ha portato avanti come uomo gay in una Finlandia conservatrice. Lotte di rivendicazione politica, umana e sociale che conferirono dignità a questi “figli di un Dio minore”, ma come gli confida sul capezzale un amico malato di Aids (siamo agli inizi della diffusione della malattia del secolo): “Tu mi hai dato la vita, mi hai fatto capire che potevo amare senza vergogna, non cambierei nulla”, perché in fondo, come lo stesso protagonista ricorda, “Siamo tutti figli di madre natura”, nonché figli più o meno legittimi di Tom of Finland che finalmente, dopo tanto peregrinare, è tornato a casa!