Non si placa la polemica su Michela Murgia e la puntata della trasmissione Rai Chakra del 7 ottobre, nel corso della quale la giornalista sarda ha affrontato il tema della gpa con Daniela Danna, Donatella Di Pietrantonio e Niki Vendola. Ad alcune femministe e associazioni la modalità di condurre il dibattito da parte di Michela Murgia è apparsa una promozione della pratica. Hanno perciò indirizzato a Monica Maggioni la lettera aperta Contro gli spot Rai all’utero in affitto: Caso #CHAKRA-MURGIA «per chiedere alla Rai una puntata “riparatoria” per esporre di più le ragioni della contrarietà alla Gpa».
Sull’appello, che vede come prima firmataria la segreteria di ArciLesbica Nazionale, ha redatto un’ampia nota di disamina Laura Guidetti, referente della Rete di Donne per la Poltica. Componente del Coordinamento Liguria Rainbow, la Rete è costituita da sette associazioni genovesi che hanno tra le proprie finalità comuni il contrasto agli stereotipi di genere, alla violenza multiforme verso le donne, il superamento delle discriminazioni basate sul genere e l’orientamento sessuale, il superamento del gap di presenza del genere femminile nei luoghi decisionali.
Pubblichiamo di seguito il testo della nota
Mi colpisce innanzitutto che si possa scrivere un appello contro una donna, femminista e professionista seria, perché ha condotto una trasmissione nella quale ha preso una posizione divergente da quella delle scriventi insorte, trasmissione alla quale ha partecipato Daniela Danna dopo avere ricevuto il diniego pubblico di Muraro, basato sulla presenza in studio di Niki Vendola. Quel Niki che è stato compagno di partito per molte, stimato governatore per alcune, seguito da altre nel periodo delle Fabbriche di Niki, ma oggi divenuto un mostro per le sua scelta di diventare genitore tramite gpa.
Mi colpisce ripeto la violenza contro una donna il cui stile non è neutro, cosa che non trovo affatto scandalosa, e che conduce il suo programma evitando la rissa, l’insulto, riconoscendo l’interlocutore a prescindere dalla differenza tra le opinioni. “Sono Charlie” dovrebbe significare che riconosco il diritto di espressione a chi non la pensa come me, ma con questo appello/denuncia sembra invece che non sia così.
Possiamo leggere sul web pezzi intitolati: “Perché ho firmato contro Michela Murgia”, quindi contro questa persona e non contro una idea e va tutto bene, è tutto normale: è questo il linguaggio e sono queste le forme del conflitto, ma a me sembra una guerra.
Non condivido la polarizzazione che si è andata accentuando sempre più sul tema della gpa: è iniziata come crociata per alcune e ha creato distanze e controreazioni che al momento sembrano insanabili sia nel movimento delle donne sia in quello lgbt. La pratica del dialogo, della conoscenza tra i soggetti coinvolti, della costruzione di ponti tra schieramenti avversi non è mai stata perseguita e da subito i toni sono stati quelli delle affermazioni apodittiche, della verità assoluta, della richiesta di divieti e condanne. Mi trovo da mesi a stigmatizzare espressioni misogine, anti femministe, ironie sciocche tra i post delle associazioni lgbt che frequento, nate principalmente per reazione alle espressioni e agli articoli che anziché argomentare danno giudizi al limite della misandria o della transfobia.
Una guerra che non condivido e che porta solo distruzione. Già lanciare questa campagna politica in concomitanza con la discussione sulla legge Cirinnà è stato a mio parere un assist alle organizzazioni cattoliche integraliste che non volevano il matrimonio egualitario (del resto in Italia la gpa non è prevista e non era in discussione, ma la tutela delle bambine e dei bambini di coppie omosessuali e lesbiche sì). In seguito, il 25 novembre scorso, le polemiche ed i toni che ha prodotto la richiesta che gli uomini non fossero in corteo, ovvero sfilassero nelle retrofile, sono stati un elemento estraneo, inutile se non dannoso rispetto alla costruzione di Nudm. Terribilmente distruttiva questa estate la scelta di ArciLesbica, che ha creato fuoriuscite e divisioni nel campo lgbti, controversia oramai giunta al paradosso in cui chi non sta dalla parte del divieto viene accusata di essere “finta lesbica”.
Si mina e indebolisce così quella parte di società civile ancora capace di attrazione politica, di fare movimento e opinione: innanzitutto il movimento delle donne che in diverse ondate (Marcia mondiale delle donne/PuntoG, Usciamo dal silenzio, Se non ora quando?, Non una dimeno) dal 2000 ha reso visibili istanze e pratiche politiche che si richiamano al femminismo; poi il movimento lgbti, unico soggetto che recentemente ha vinto qualcosa ottenendo l’allargamento dei diritti civili per tutti/e, attraverso la legge sulle Unioni Civili.
Ed ora la denuncia/appello contro Murgia, ancora per scavare un fossato tra gli schieramenti, per ridurre al margine chi non vuole schierarsi, per affermare una visione non laica ma eticista che vuole la trascrizione di una Legge Naturale, o della Verità di una parte, in Norma giuridica e in divieto globale. Molte delle argomentazioni sullo sfruttamento della gpa sono condivisibili, ma appartengono al campo relativo al mercato e in particolare al profitto: non sarebbe più convincente lottare contro il sistema capitalistico, che sfrutta il corpo delle donne per fare profitti (in senso marxiano), piuttosto che negare ogni possibile scambio tra persone, di tipo solidaristico o meno? Credo che l’introduzione di regole per proteggere la discrezionalità ed il potere decisionale della donna durante tutto il percorso della gestazione sia più coerente con il riconoscimento di competenze e responsabilità che l’autodeterminazione attribuisce alle donne nei processi di vita, salute, sessualità, riproduzione.
Concordo con quanto affermato proprio da Murgia: “Non è quindi tollerabile oggi in un discorso serio sentir definire “maternità” il processo fisico della semplice gravidanza, che in sé – e lo sappiamo tutte – può escludere sia il desiderio procreativo sia la disposizione ad assumersi la responsabilità e la cura del nascituro. Di conseguenza è improprio discutere anche di maternità surrogata. Si può discutere invece di gravidanza surrogata, purché resti chiaro che si tratta di qualcosa di profondamente diverso. Operare questa distinzione è tutt’altro che ozioso, perché la legge italiana – entro i limiti che conosciamo – permette già ora a una donna che resta incinta di scindere i due processi e agire per rifiutare il ruolo indesiderato di madre, sia attraverso l’interruzione di gravidanza, sia attraverso la rinuncia permanente a curarsi del neonato. Chi si oppone alla gravidanza surrogata chiamandola “maternità” e adducendo come motivazione l’unicità insostituibile del legame che si stabilirebbe tra gestante e feto sta ponendo le condizioni perché gravidanza e maternità tornino a essere inscindibili e quella sovrapposizione torni a essere usata contro le donne SEMPRE, ogni volta che per i motivi più svariati provassero a scegliere di non essere madri.
Reintroducendo nel dibattito la mistica deterministica del “sangue del sangue” non si sta quindi mettendo in discussione solo l’ipotesi della surrogazione gestazionale, ma anche alcuni comportamenti che sono già normati come diritti nel nostro sistema giuridico, cioè l’aborto e la possibilità di rinunciare alla potestà genitoriale, per tacere dell’adozione, legame di pura volontà che in questo modo – non originandosi “dall’avventura umana straordinaria” della gravidanza – tornerebbe nell’alveo delle maternità di serie B.”
Perché le donne nelle loro storie di vita hanno praticato a modo loro la gpa (si legga a proposito Storie di donne, suppl. al n.2/2016 della rivista Marea), o l’inseminazione eterologa, o forme di genitorialità non conformi a quelle dominanti in questo ultimo mezzo secolo.
Un dibattito che non cerca il confronto ma la soppressione di una parte, dimostra disinteresse verso le forme solidaristiche che le donne sanno realizzare e riduce tutto al rapporto vittima/oppressore, anche quando le relazioni di molte storie di vita raccontano vicende lontane da quella visione riduttiva.
Aleggia inoltre un tema che è molto insidioso: quello del potere materno, che nel discorso di Snoq libere come di Muraro, è Potere femminile, che propone un’idea di potere distante da quanto spiegato da Menapace sul potere come verbo ausiliare (o modale) per me politicamente più libertario ed equo, se vogliamo pensare ad un cambiamento radicale della società mettendo in discussione le forme gerarchiche del potere.
Se si fosse aperto un vero conflitto, quelle come me impegnate a fare politica da femministe assieme ai soggetti Lgbti, ne avrebbero beneficiato, arricchendo il confronto, contaminando linguaggi e pratiche in una alleanza feconda: invece prevale la fatica a smontare diffidenze, recriminazioni, opposti ostracismi. Fatica a trovare la terza via, ad attraversare come Cassandra i confini tra gli schieramenti in lotta, di una guerra che proprio contraddice la pratica nonviolenta che ho imparato nel femminismo.