«Se mi lasci rivelo la tua omosessualità». Questa la frase che Congliang Hu, detto Leo, avrebbe rivolto al giovane cui era legato sentimentalmente. Questo il motivo, dunque, che l’avrebbe portato alla morte per soffocamento a opera del compagno e di quattro complici. Tutti minorenni.
Avvenuto sabato a Modena, il delitto è stato consumato nella centrale Piazza Dante dove il 20enne d’origine cinese abitava con la madre e il padre adottivo, l’avvocato Andrea Giberti. I genitori erano in un’altra stanza mentre Leo veniva ucciso e poi «riposto ancora caldo, maneggevole – come ha dichiarato la procuratrice capo di Modena Lucia Musti –, dentro una valigia subito dopo il fatto. E lì rinvenuto dalla madre».
Nella notte del 27 novembre tre dei cinque presunti assassini sono stati sottoposti a fermo giudiziario: uno a Modena e due a Prato. Perché è dalla Chinatown del capoluogo toscano che provengono i cinque minorenni, indagati per omicidio volontario pluriaggravato. Un quarto è stato arrestato nella giornata di oggi mentre l’ultimo si è costituito presso la questura di Prato.
Ma la vicenda resta estremamente intricata e non sono esclusi altri sviluppi nelle indagini coordinate dalla sostituta procuratrice Katia Marino e svolte dalla squadra mobile del vicequestore aggiunto Marcello Castello. Ovviamente, data la minore età dei tre fermati nonché dei due ricercati, la competenza è passata alla Procura dei minori di Bologna.
Nell’attesa che si faccia luce sulla morte di Leo sembra profilarsi ancora una volta lo spettro del pregiudizio. Pregiudizio, invero, ancora molto radicato presso la comunità cinese nei riguardi delle persone omosessuali.
In una nota Alberto Bignardi e Francesco Donini, rispettivamente presidente e vicepresidente del comitato Arcigay Modena Matthew Shepard, hanno rilevato come «a uccidere Leo non sia stata solo la mano del ragazzo con cui aveva una relazione e di eventuali complici. È stato quel complesso di paura, rifiuto e disprezzo, per Leo ma anche per se stesso e ciò che è, che ha divorato la coscienza di questo ragazzo, un complesso chiamato omofobia interiorizzata.
E l’omofobia, dentro di lui, è frutto di quella in cui ha vissuto ed è cresciuto, la stessa omofobia che tutte e tutti noi abbiamo vissuto e viviamo quotidianamente sulla nostra pelle. Tutte e tutti noi piangiamo Leo, e chiediamo giustizia per questo crimine, di cui l’assassino o gli assassini devono rispondere nella maniera prevista dalla legge».