I ministeri della Difesa e dei Trasporti dovranno versare 100mila euro come risarcimento danni al 36enne Danilo Giuffrida, al quale fu rifiutata la patente di guida dopo che alla visita di leva aveva rivelato di essere omosessuale.
A deciderlo la Corte d’appello civile di Palermo, cui la Cassazione aveva rinviato il giudizio sull’entità del risarcimento dopo aver annullato nel 2015 la sentenza dei giudici di secondo grado di Catania. I quali, il 10 aprile 2011, avevano confermato la sentenza emessa in primo grado dal medesimo tribunale ma avevano ridotto il previsto risarcimento di 100mila alla somma di 20mila.
Laureato in filosofia e vivente a Tokio dove lavora presso un’azienda, Danilo fu vittima nel 2000 – come ritenne la Suprema Corte il 22 gennaio 2015 – di «un vero e proprio e intollerabilmente reiterato comportamento di omofobia» da parte dei due ministeri. Quando si presentò infatti alla visita di leva dichiarò d’essere omosessuale. «E noi come facciamo a crederci?» – gli chiesero all’ospedale della Marina militare. Alla risposta di Danilo di conoscere benissimo la propria condizione, il medico preposto ribattè: «No guardi. Si iscriva all’Arcigay. Così attesta la sua omosessualità».
Pur non capendone il perché, Danilo si iscrisse all’Arcigay di Catania. Due mesi dopo ecco arrivare una lettera della Motorizzazione. In essa si diceva che lui non aveva le capacità piscofisiche per ottenere la patente e che quindi doveva sostenere una visita speciale. Fu allora che Danilo conobbe la verità. Che, cioè, della sua omosessualità la Motorizzazione era stata informata dalla Marina militare.
Danilo iniziò così la sua battaglia legale che oggi si conlude definitivamente. Dovrà essere risarcito di 100mila euro, perché una somma inferiore – hanno sentenziato irrevocabilmente i giudici di Palermo – «non sarebbe idonea al ristoro dei pregiudizi subiti». I quali hanno anche condannato i due ministeri a pagare le spese processuali di tutti i giudizi sostenuti fino ad oggi dal 36enne catanese.
La sentenza è stata commentata da Giuffrida e dal suo legale Giuseppe Lipara in una nota congiunta. «È una vittoria non personale del singolo – così si legge in essa – ma di tutti coloro che ogni giorno sono costretti a sopportare condotte intollerabili che offendono la dignità della persona e dell’individuo, i quali non devono subire discriminazioni in base alle proprie scelte sessuali, specie se tali comportamenti provengono dalle Istituzioni pubbliche nell’esercizio delle loro funzioni amministrative.
Speriamo che questa sentenza, ma soprattutto quella della Corte di Cassazione sia un monito non soltanto per le amministrazioni, ma per qualsiasi rappresentazione della società, sia essa privata o pubblica, in maniera da rendere eguali i diritti della persona e del cittadino, senza subire discriminazioni di nessun tipo, siano esse di genere, siano esse di altra natura, ma sempre di sprezzante riluttanza al nostro senso etico, morale e giuridico».