Circa una settimana fa, in occasione della Giornata internazionale della donna, l’attenzione della cronaca si è focalizzata nuovamente su un caso di omofobia e molestie in ambito sanitario.
Viola F., 23enne d’origine ischitana ma vivente a Roma per studi universitari, ha infatti denuncito quale incubo la visita ginecologica, cui si era sottoposta a fine gennaio nella capitale. Il medico, avendo appreso dalla paziente il suo orientamento sessuale, nel sottoporla a ecografia transvaginale, era arrivato a usare parole allusive, offensive e umilianti per la stessa.
«Ancora una volta registriamo un caso di discriminazione in ambito sanitario – ha così dichiarato Antonello Sannino, presidente di Arcigay Napoli –. Poco più di un mese fa, infatti, un attivista di Arcigay è stato schernito e deriso in quanto omosessuale durante una visita da un medico in servizio in una struttura ospedaliera campana. Oggi tocca a Viola essere discriminata da un ginecologo in quanto lesbica. Queste circostanze gravissime ci fanno riflettere, ancora una volta, sulla scarsa formazione e sulla scarsa sensibilità dei medici e del personale sanitario. Non è tutto così, ovviamente, ma c’è ancora tanto da fare perché un pezzo del nostro Paese è ancora drammaticamente resistente al cambiamento».
Per Gaynews, abbiamo deciso di raggiungere telefonicamente Viola per capire meglio come sono andate le cose.
Viola, ti era mai capitato di trovarti in situazioni simili, cioè di essere stigmatizzata o molestata perché lesbica ?
Sì, mi era già capitato, purtroppo, in due distinte occasioni. La prima volta avevo 17 anni. Mi trovavo a Ischia, dove sono nata, a una festa con la mia compagna di allora. Alcuni ragazzi hanno approfittato di un momento, in cui mi ero allontanata da sola, per andare a prendere da bere e mi hanno accerchiata. Uno di loro mi ha parlato per chiedermi: Perché baci una donna? Io ricordo che risposi: Anche tu baci le donne, no? Dovresti capirmi.
Gli altri allora hanno iniziato a darmi botte sulla testa e sulla schiena. Sono riuscita a uscire da quel cerchio umiliante e violento mettendomi in ginocchio e facendomi spazio tra le loro gambe, tutta bagnata dei drink che mi ero rovesciata addosso. Ricordo che ebbi bisogno di appartarmi per piangere, perché ero sopraffatta dal senso di impotenza e umiliazione. Non so ancora chi fossero quei ragazzi.
La seconda volta avevo 18 anni: entrai in classe una mattina e trovai tutti i miei compagni in piedi davanti al muro, dietro la cattedra. Mi avvicinai e lessi una grande scritta fatta col pennarello: Viola lesbica malata. I miei amici erano riusciti a coprire solo parzialmente quella scritta. Qualche tempo dopo fecero imbiancare l’aula.
Quando hai raccontato la visita che hai subito, quali reazioni hai raccolto nella tua cerchia di conoscenze? Hai ricevuto solidarietà o ti sei confrontata con atteggiamenti di chiusura?
Questa è una domanda fondamentale, la cui risposta chiarisce anche il perché io abbia deciso di raccontare la vicenda proprio in occasione della Giornata della donna.
Come ho già detto, ho raccolto dalle mie conoscenze e amicizie molto sostegno, comprensione e incoraggiamento, ma non da tutti.
La prima cosa che va precisata è che, quando sono uscita da quella visita, mi era venuta a prendere in auto la mia ragazza. Ero molto turbata e soprattutto nervosa, però ancora non avevo metabolizzato l’accaduto a causa dello shock. La mia ragazza mi ha fatto notare quanto assurdo fosse quello che il ginecologo avesse detto e fatto, quanto fosse fuori luogo e inaccettabile. E mi ha scossa da quell’apatia passiva in cui ero precipitata subito dopo.
In seguito, sono state proprio le reazioni di altre persone che mi hanno aiutata a raccogliere le forze: chi ha pianto per il nervosismo e l’ingiustizia, chi mi ha versato del vino e mi ha offerto il suo ascolto per tutta la notte, chi con gli occhi sgranati non sapeva come esprimermi quanto le dispiacesse, chi con le vene delle tempie ingrossate mi diceva che avrei dovuto denunciare. Tutte reazioni che hanno riempito il mio cuore, che mi hanno fatta sentire meno sola davanti a quell’evento che mi aveva profondamente segnata.
Tutti mi sono state accanto, tutti tranne una persona: la mia migliore amica. Era stata lei a consigliarmi il ginecologo, suo medico e amico di famiglia. E questo chiarisce come mai io abbia deciso di raccontare la vicenda l’8 marzo: perché quel giorno di celebrazione della donna, l’unica cosa che riuscivo a pensare era quanto fossi delusa dal mancato sostegno femminile che ritenevo il più importante.
Lei ha dubitato delle mie parole, forse per la sua natura intimamente subordinata al genere maschile, forse per la sua provenienza piccolo borghese, per la sua famiglia molto cattolica. La mia migliore amica ha messo in dubbio le mie parole per paura, per non vedere le cose che non le piacciono. Ecco perché ho invitato le donne, come lei, ad alzare la testa e amare di più sé stesse e le altre. Ma nel resto del mio mondo, per fortuna, ho trovato grande solidarietà.
Hai denunciato l’accaduto all’ordine dei medici? E alle forze dell’ordine?
Ho denunciato solo ai carabinieri, che hanno accolto con grande indignazione il mio racconto. Proprio i carabinieri mi hanno spinto a presentare il caso alla procura sotto la dicitura di “violenza sessuale” invece che come semplice molestia. Hanno detto che il mio caso si trova sulla linea di confine tra violenza e molestia dacché, mentre il ginecologo mi diceva che avrebbe voluto farmi cambiare idea sulla mia omosessualità, stava comunque usando i suoi strumenti su di me e dentro di me. E, inoltre, mentre mi diceva che ero una monella, riferendosi ai miei tatuaggi, aveva le mani sul mio seno. Cose che dovrebbero essere normali durante una visita ginecologica, ma che acquistano un altro colore se accompagnate da quel tipo di frasi.
All’Ordine dei medici non l’ho segnalato, ma spero vengano presto informati. Non vorrei correre il paradossale rischio di essere anche contro-querelata per diffamazione. Sarebbe il colmo.
Tra la visita e la denuncia pubblica della violenza è trascorso un po’ di tempo. Credi ti sia servito a metabolizzare e raccontare l’accaduto o avevi timore di scontrarti con il pregiudizio altrui?
La cosa strana è che ho provato per settimane a scrivere dell’accaduto. All’inizio non avevo la serenità mentale per rivivere tutto nel raccontarlo agli altri, pensavo che le parole avrebbero sminuito la frustrazione, il disgusto, l’umiliazione che avevo provato. Non avevo la forza adeguata per farmi capire. Ma l’8 Marzo è stata la delusione nei confronti della mia migliore amica che mi ha spinta a farmi portavoce della forza femminile. Per esortare le donne a lottare ancora, perché il mondo può migliorare sempre più nei nostri confronti, e per dire a tutte di avere coraggio, denunciare, alzare la testa.
Ci vuole forza perché ci si può ancora imbattere in ignoranza, menti ottuse e pregiudizi. Bisogna far capire a tutte le donne che non si guadagna niente nel denunciare una molestia, né soldi né fama né potere, ma è necessario farlo. Anzi, io ho dovuto affrontare molte difficoltà per esprimere cosa avessi subìto, e ho perso anche un’amica. Ma il torto subito ti dà la forza di gettarti anche in una vasca di squali.
Secondo te, personaggi come il medico che ti ha visitato, poggiano il proprio senso di impunità sulla consapevolezza di essere parte di una società maschilista e omofoba o sul senso di paura e vergogna che suggeriscono alla “vittima”?
Il ginecologo era il tipico maschio alfa, borghese, educato ma dagli atteggiamenti tipici dell’impunito. Sapeva di essere in una situazione di potere, sia come uomo bianco ed eterosessuale, sia come medico affermato, col camice addosso e la possibilità di dire qualsiasi cosa volesse a qualunque giovane e bella ragazza, nel suo intoccabile studio arredato in modo elegante, dove lavora da solo. Di certo, per le libertà che si è preso e la sua nonchalance nel biasimarmi apertamente fin dal primo momento perché omosessuale (con parole crude e dirette), credo abbia puntato anche sul mio senso di disagio, sulla mia inferiorità in quel momento. Lui medico, io paziente. Io mortale, lui Dio.
Giocava con la mia psiche con bastone e carota, alternando frasi di biasimo per la mia omosessualità (fino a dirmi anche: Non dirlo a nessuno perché penserebbero male di te, in ogni ambito della tua vita) a frasi viscide e moleste: dal Come sei bella al Ti avrei fatto cambiare idee, che mi hanno messo a disagio e mi hanno bloccata. Tanto era lui a dirmi di aprire le gambe, di togliere la maglietta, di rispondere a domande indiscrete, ed io lo facevo. Questo era per lui palesemente galvanizzante.
Come ti sentirai, la prossima volta che dovrai sottoporti a visita ginecologica? Pur cambiando medico, riuscirai a essere serena o credi che quest’esperienza comprometterà la tua fiducia nei confronti dei medici che incontrerai?
Per rispondere a questa domanda, devo precisare che sono una studentessa di medicina e che, in generale, non sono propensa a perdere la fiducia nei confronti della classe medica. Ma credo proprio che, nel momento in cui dovrò spogliarmi nuovamente davanti ad un dottore e farmi toccare in una situazione di vulnerabilità, sarà diverso. Se solo ci penso, mi viene la nausea. Purtroppo non solo in questo ambito ha influito la vicenda, non solo nei riguardi dei medici avrò problematiche.
Ma quel che è successo ha avuto riverbero per qualche tempo anche nella mia vita sessuale, nella fiducia nei confronti del genere maschile e ha anche peggiorato i sintomi dell’ansia, di cui già soffrivo in modo blando. Le sue parole, le sue mani, il suo sguardo viscido sul mio corpo giovane non mi condizioneranno solo nel momento in cui dovrò spogliarmi di fronte a un altro medico (che d’ora in poi sarà donna) ma hanno già leso molti aspetti della mia vita, tra cui la mia dignità. Spero davvero che sia condannato, radiato dall’Ordine dei medici e che non possa più traumatizzare nessuna ragazza.
Ormai io quest’orrore l’ho vissuto e niente me lo farà dimenticare… Ma spero almeno che questa brutta vicenda possa essere d’aiuto per le altre, per salvaguardarle, per incoraggiarle a denunciare. Magari stavolta la legge farà qualcosa di buono. E avremo un orco in meno di cui preoccuparci.