Dal 10 al 15 aprile, al Teatro Out Off di Milano (via Mac Mahon, 16), andrà in scena l’interessante studio teatrale su Mario Mieli, prodotto dal giornalista Maurizio Guagnetti e da Irene Serini. L’attrice, che ha già lavorato con Luca Ronconi, Tonino Conte, Gioele Dix, Serena Sinigaglia e altre importanti realtà artistiche della scena italiana, è anche regista e interprete d’uno spettacolo dai trenta intensi minuti.
Irene Serini recupera la formula del teatro antico che vede il pubblico seduto in cerchio. E, all’interno di questo cerchio, proverà a rievocare la figura e lo spirito di Mario Mieli, rivoluzionario precursore delle lotte italiane di rivendicazione Lgbti. Primo filosofo nostrano ad aver indagato il difficile rapporto con la femminilità propria di ogni essere umano, con l’identità sessuale e con il desiderio represso.
Lo spettacolo si chiama Abracadabra. Incantesimi di Mario Mieli, il mago del gender. Rappresentato per la prima volta lo scorso anno a IT Festival, arriva all’Out Off di Milano con Studio#2, il secondo atto di uno spettacolo non finito e per certi versi infinito.
Per conoscerne di più, raggiungiamo telefonicamente Irene Serini.
Irene, ci spiega come e perché si è avvicinata figura di Mario Mieli? E quali sarebbero i suoi incantesimi?
Il primo a parlarmi di Mieli fu un giornalista e grande amico: Maurizio Guagnetti. Mi diede in mano Elementi di critica omosessuale e, in un giorno d’influenza, lessi la prima pagina: mi staccai dal libro tre giorni dopo. L’influenza era passata ed ero avvolta dalla strana sensazione di essere una persona diversa da prima, non solo per questioni di temperatura. Come se quel libro fosse stato un medicinale iniettato nel cervello, in grado di cambiare il mio sguardo sul mondo. Magia? Chissà.
Da lì in poi molti sono stati gli incontri: sia con chi ha conosciuto Mieli direttamente (divertendosi assai e avendo molto da ricordare) sia coi libri di chi ha portato avanti il suo pensiero elaborandolo all’interno dei gender studies. Ritrovo gli ingredienti delle sue “pozioni magiche” in alcuni tratti del pensiero di Judith Butler ma anche di Flavia Monceri, quando propone d’interrogarsi a fondo e con cura su cosa sia l’identità, chi sia a determinarla e a chi serva questa [benedetta o maledetta o comunque noiosissima] identità.
Decisi di portare tutto questo a teatro. Ma compresi fin da subito che la natura di Mieli imponeva l’evasione. Che bisognava scombussolare leggi e confini. Fu lì che ritrovai Maurizio, il mio iniziatore, ed insieme elaborammo un progetto di cui il monologo non è che il primo mattone e che prevede, tra le varie, la realizzazione di un docufilm che finanzieremo attraverso una campagna di crowdfunding.
Il suo spettacolo è una specie di seduta spiritica per rievocare domande che più dividono la società contemporanea in tema di sessualità e identità di genere. Ma qual è l’interrogativo che ritiene più pressante e più divisivo in questo momento?
Quando smetti di recitare? Cosa trovi al di là della recita? Può sembrare strano ma questi sono interrogativi realmente incandescenti in questo percorso.
L’identità di genere quanto la sessualità hanno a che fare con la rappresentazione più di quanto non si possa intuire, hanno a che fare con la riconoscibilità da parte degli altri. Aveva ragione Shakespeare: Tutto il mondo è un teatro e gli uomini e le donne non sono che attori. Attori a cui Mario Mieli propone di smettere di recitare per “scoprire le straordinarie risorse dell’esistenza…al di là della recita” È necessario superare i limiti imposti, per scoprire se stessi e l’universo circostante.
Sinteticamente, cosa fece di Mario Mieli un pensatore scomodo e anticonformista? C’è un aspetto dell’eccentricità di Mieli nei confronti della quale lei ha delle reali perplessità?
Del pensiero di Mario Mieli accolgo tutto. Consapevole di avere a che fare con un pensatore anni ’70. Anni aggressivi rispetto ai nostri, in cui la provocazione era una modalità d’espressione molto presente. Oggi provocare sembra in parte passato di moda, difficilmente fa ottenere risultati evidenti, tanto meno fa guadagnare una buona qualità d’ascolto da parte di chi la pensa diversamente.
Ribadisco: nulla del pensiero di Mario Mieli mi disturba, perché lo accolgo instaurando un dialogo con esso, e non considerandolo istruttivo alla maniera di una vecchia lezione scolastica. Inoltre in tutto quel che lo riguarda, anche nella cosa più schifosa, risuona sempre uno stato di grazia.
Il suicidio di Mario Mieli è stato spiegato in vari modi. Secondo lei, qual è stata la molla scatenante della sua decisione finale?
Lo spettacolo non indaga la vita di Mieli e la sua aneddotica. Portiamo in scena il suo pensiero, la sua meraviglia. Togliersi la vita è un fatto intimo. Inviolabile. Silenzioso. Le uniche parole che riesco ad accettare in circostanze del genere sono quelle che scrisse Cesare Pavese prima di morire: Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.