Quando si parla di violenza domestica, si pensa generalmente a un fenomeno riguardante coppie di persone di sesso opposto. Le stesse persone omosessuali tendono a negarlo: quasi un volersi difendere da una omologazione. Eppure alcune di esse iniziano a parlarne, percependosi come vittime.
Ne parliano con Daniele Paolini, psicologo-psicoterapeuta sistemico-relazionale e assegnista di ricerca presso l’Università degli studi Gabriele D’Annunzio di Chieti – Pescara.
Dr Paolini, lei ha iniziato a studiare il fenomeno della violenza domestica in riferimento alle coppie omosessuali. Quali i risultati della sua indagine?
Un giorno mi sono imbattuto in un post su Facebook di un’associazione inglese dal nome Broken Rainbow, oggi confluita nell’organizzazione Galop. Quest’associazione si occupa di violenza domestica all’interno di coppie omosessuali in Inghilterra. Nello specifico cerca di comprendere come si verifica la violenza e fornisce supporto e aiuto alle vittime. Questo è stato il primo momento in cui mi sono fermato a riflettere su questo tema ed è stato anche lo start che mi ha spinto verso un processo di ricerca e approfondimento. Purtroppo la conoscenza di tale fenomeno la dobbiamo mutuare, quasi totalmente, da contesti anglofoni.
In una recente ricerca, condotta in collaborazione con l’Università di Chieti e l’Università di Perugia, abbiamo esaminato la volontà degli astanti di fornire aiuto e sostegno a una vittima di violenza domestica sia essa gay che lesbica. Nel fare questo, la ricerca ha indagato se i meccanismi sottostanti l’intervento degli astanti sono simili o diversi a quelli osservati quando le persone assistono a casi di violenza domestica avvenuti all’intero di una coppia eterosessuale, nonché di identificare alcune condizioni che esacerbano la volontà oppure no di intervenire. Dalla nostra ricerca emerge che, se la violenza domestica viene perpetrata come esito di un tradimento, le persone valutano le vittime come meno morali e più responsabili dell’accaduto e tale valutazione influenza in modo negativo la loro disponibilità a fornire aiuto.
Questi esiti rispecchiano purtroppo ciò che drammaticamente emerge dalle ricerche che hanno indagato la violenza domestica in coppie eterosessuali a differenza del fatto che per quanto riguarda le coppie omosessuali l’effetto descritto emerge in modo più forte per le persone che presentano un orientamento ideologico conservatore. Senza ombra di dubbio, questi dati fanno accapponare la pelle, se la confessione di un tradimento viene considerata come una giustificazione alla violenza domestica subita al punto tale di non essere disposti a intervenire per mettere fine a tale atto. E, se quest’effetto è maggiormente esacerbato dall’orientamento politico di chi in una situazione di emergenza dovrebbe fornire aiuto, sembra emerga un quadro molto pericolo per il quale urge un attento e approfondito dialogo e intervento socio-politico.
Sulla base della sua esperienza di ricercatore e psicologo le vittime omosessuali di violenza domesticachiedono aiuto e sostegno a un esperto nel momento del bisogno?
Purtroppo devo rispondere di no. In base alla mia esperienza come psicoterapeuta ho potuto osservare una forte reticenza nel chiedere aiuto perché vittime o perpetuatori di violenza domestica. È più probabile che tale problematica emerga in una fase più avanzata del processo terapeutico e, quindi, che esso non abbia inizio da una richiesta d’aiuto esplicita inerente una violenza domestica.
Da un lato credo sia un processo di normale protezione come se affrontare una tematica così importante e delicata in Italia necessitasse di una collaudata relazione di fiducia. Dall’altro, però, è necessario chiedersi se esistono luoghi, di qualsiasi forma, adibiti a raccogliere richieste d’aiuto esclusivamente legate alla violenza domestica in una coppia omosessuale. Ancora una volta, a malincuore, devo rispondere di no.
Sussistono al riguardo motivi e meccanismi differenti tra coppie di persone gay e lesbiche?
La difficoltà nel fare ricerca su questa tematica e, quindi, la scarsa presenza di ricerche che possono fornirci un quadro più dettagliato del fenomeno, rende impossibile, ad oggi, delineare specifiche differenze imputabili alle coppie di persone gay e lesbiche. Cedo sia importante concentrarsi non tanto sulle differenze ma sulla gravità di qualsiasi atto di violenza indipendentemente dalla loro forma.
Lei parlava d’un ritardo nel denunciare la violenza subita. Quanto pesa in proposito una cultura etero-sessista e omofoba?
La violenza domestica all’interno di coppie omosessuali sembra particolarmente difficile da rilevare e riportare a causa di diversi fattori che ostacolano la richiesta di aiuto da parte della vittima. Una prima riflessione da fare è che la denuncia di una violenza domestica per un’omosessuale presuppone che il processo di coming out si sia realizzato: le incertezze e la paura nell’affermazione del proprio orientamento sessuale possono ostacolare il processo di denuncia.
Un’ulteriore barriera è sicuramente il contesto eterosessista e omofobo nel quale le coppie omosessuali continuano a vivere. In quale luogo istituzionale un omosessuale vittima di violenza domestica può recarsi senza sentire il peso del proprio orientamento sessuale? Ovviamente legato a questo fattore non può essere ignorato il fenomeno dell’omofobia interiorizzata che può spingere le vittime omosessuali a sottovalutare l’accaduto stesso. Due aspetti connessi che, nonostante i recenti progressi, continuano ad alimentare la condizione di invisibilità sociale del mondo Lgbt esacerbando stereotipi e discriminazioni.
Inoltre, dalla letteratura emerge anche che un altro ostacolo è rappresentato dalla paura che denunciare una violenza domestica getterebbe una luce negativa su tutta la comunità Lgbti che da decenni combatte per il riconoscimento dei diritti. In realtà il quadro è molto complesso. Una serie di ostacoli impediscono la presa in carico di tale problematica. Ma è pur vero che ad oggi, nello specifico sul territorio italiano, non esistono servizi idonei a raccogliere tali denunce e a fornire un adeguato aiuto alle vittime. La strada da fare è lunga e tortuosa.
Sembra necessario però un’attenta analisi del fenomeno e del contesto sociale per riuscire a promuovere programmi di intervento efficaci ed efficienti sia per quanto riguarda le conseguenze psicologiche di una violenza domestica sia per un processo di sensibilizzazione sociale.