Il 20 aprile 2017 si verificò a Parigi sugli Champs-Élysées un attacco terroristico a seguito del quale, oltre all’attentatore, morì l’agente Xavier Jugelé, componente di Flag!, l’associazione Lgbtq della gendarmeria francese.
A un anno esatto di distanza dall’attentato jihadistico gli organizzatori della 33° edizione del Lovers Film Festival di Torino, accogliendo una felice intuizione del fondatore e presidente Giovanni Minerba, hanno deciso di ricordare il poliziotto di Bourges con il cortometraggio Xavier di Jo Coda.
Ne abbiamo parlato proprio col regista di origine cagliaritana a poche ore dalla proiezione torinese.
Jo, come nasce il corto Xavier?
Il film nasce dalla profonda commozione che ho provato nell’assistere alle esequie di Xavier. Il suo compagno che legge una lettera che non può essere rappresentata da alcun protocollo. La globalizzazione del dolore che amplificato all’ennesima potenza si traduce in profonda intimità.
Quella di Xavier è una vita spezzata. Può considerarsi la sua vicenda una storia che riguarda ognuno di noi?
Quando a seguito del fatto in sé prende vita un atto di mobilitazione globale, commozione globale, che appunto trascende dalla mera notizia di cronaca assumendo un valore universale.
Nel tuo corto c’è un’alternanza tra visibile e invisibile, tra buio e luce, tra amore e violenza, tra eros e morte. È questo che hai voluto raccontare?
Nella tua domanda Rosario, lucida sintesi del mio film, si innesta il mio sì. La quotidianità come risultanza, sintesi, dei gesti più semplici. Con l’eccezione che qui la morte spezza senza poesia una vita, senza alcun motivo.
C’è in Xavier uno svelamento del rimosso?
Anche quando riusciamo parzialmente, a rimuovere, sospingere fuori dall’oscurità dell’inconscio episodi, eventi traumatici e sentimenti, questo “esercizio” non può mai soddisfare pienamente la nostra sete di sapere, poiché sembra connaturata in noi la continua, spasmo di ricerca di una rivelazione impossibile, velata dal tenace sudario dei nostri limiti di conoscenza.
Mostri la quotidianità dell’amore fatta da piccoli gesti. Il preparare la tavola con cura appare come l’attesa di una felicità. È cosi?
I gesti più semplici, le parole più chiare, sono alla base della nostra quotidianità. Ci si prende cura l’uno dell’altro, desiderosi di poter sempre essere ricambiati. E la felicità si manifesta, a tratti, lungo il nostro percorso anche laddove i segni del nostro amare sfumano o si confondono nel costante caos in cui siamo immersi.
Il fanatismo uccide e tu ci racconti lo shock. Oltre a Xavier ne siamo anche noi vittime?
Noi siamo coloro che restano, che sopravvivono, che hanno il dovere di ricordare e fare in modo che nulla venga dimenticato. Chi resta diventa suo malgrado, ma io direi anche per sua fortuna, il custode della memoria, della propria identità e storia. Sottrarsi a questo, sottrarsi al ricordo, è un atto superficiale, irresponsabile e conformista.