La platea e il palco sono ricoperti da foglie di carta, rosse e gialle. Sulla scena la testiera in metallo di un letto, e una finestra montata su una cornice autoreggente su ruote.
Quando lo spettacolo inizia una giovane donna, illuminata solamente da una lampadina tascabile, si rivolge al giudice in quella che sembra la deposizione per un crimine da lei commesso.
Poi, un giovane uomo, in divisa della prima guerra mondiale, si rivolge a sua moglie Louise, augurandosi di tornare presto da lei mentre la vita della trincea lo attanaglia e lo vince.
Ecco dunque un’altra donna, una ferita sanguinante alla tempia, che si avvicina al giovane soldato, cantando le parole di Parle moi d’amour, accovacciandosi per stare alla sua altezza mentre lui saggia il sangue che le esce dalla ferita.
Chi sono questi personaggi? Sono il giovane Paul Grappe e sua moglie Louise Landy passati alla cronaca lui come disertore che per evitare l’arresto e la fucilazione ha assunto identità femminile, con lo pseudonimo di Suzanne Landgard, lei per aver sparato a morte al marito, nel 1928, per difendere se stessa e il loro figlioletto di due anni, che morirà a causa di una meningite pochi giorni dopo il padre.
Conosciamo questa storia dalle pagine dei giornali, che si occuparono del caso di Paul che, presentatosi alle forze dell’ordine per beneficiare dell’amnistia, ottenne notorietà per il suo passato en-travesti, e per l’istruttoria della polizia in seguito all’omicidio di Paul per mano di Louise.
Il loro caso, celebre in Francia alla stregua di quelli successivi delle Sorelle Papin e di Violette Nozière, è stato portato ala ribalta nel 2011 dal libro La garçonne et l’assassin: Histoire de Louise et de Paul, déserteur travesti dans le Paris des années folles di Fabrice Virgili e Danièle Voldman, ed. Payote. Il libro è stato pubblicato in italiano nel 2016, mantenendo il titolo originale, La garçonne e l’assassino. Storia di Louise e di Paul, disertore travestito, nella Parigi degli anni folli per Viella editore, con l’aggiunta preziosa di un approfondimento storico di Teresa Bertilotti. Chloè Cruchadet nel 2013 ne trae la graphic novel Mauvaise Genre (t.l. Genere cattivo) pubblicata in Italiano nel 2014 col titolo Poco raccomandabile per la Cocconino Press.
La storia di Paul/Suzanne è molto semplice nella sua eccentricità. Non potendo essere uomo e disertore in tempo di guerra Paul assume identità femminile come Suzanne senza per questo cambiare il proprio orientamento sessuale (come potrebbe?) continua infatti a prediligere le donne. Essendo però, almeno esternamente, donna anche lui, per potersi permettere storie con donne. Suzanne deve frequentare donne che cercano altre donne e inizia a frequentare così locali per lesbiche e posti di incontro e rimorchio come il parco Bois de Boulogne.
In quel contesto Paul/Suzanne scopre anche gli uomini senza che il suo comportamento omosessuale metta in discussione la sua eterosessualità. Non basta infatti andare a letto con qualcuno dello stesso sesso per essere omosessuali. Non è il sesso che ci fa etero gay o lesbiche quanto, piuttosto, l’affetto, i sentimenti, la sfera relazionale.
Anche per questo la psicologia e la sessuologia distinguono tra comportamento sessuale (con chi facciamo sesso) e orientamento sessuale (di chi ci innamoriamo, con chi, oltre al sesso, costruiamo relazioni affettive). È interessante vedere come questa storia venga trattata nei testi che Tamara Balducci, Linda Gennari e Lorenzo Garozzo hanno consultato per scrivere Suzanne portato in scena per la compagnia Le città visibili e la regia di Cèsar Brie.
Nel libro di Fabrice Virgili e Danièle Voldman, tutto sviluppato su un racconto romanzato non comprovabile, più affine alle ricostruzioni tutte torbidi dettagli e malcelati (pregiu)dizi di certi programmi televisivi che al rigore di una ricostruzione storica che possa dirsi tale, Il travestitismo di Paul è visto come un indice di omosessualità secondo il trito cliché dell’inversione sessuale. Paul/Suzanne è presentato come un personaggio ambiguo, al di là dei due generi, senza mai uscire però dall’ambivalenza del binarismo, arrivando a suggerire che Paul non sia il padre del figlio di Suzanne data la sua scarsa virilità (sic!) comprovata dalla sua diserzione.
Cruchadet nella sua graphic novel è convinta invece che Paul volesse proprio essere donna, come fa dire a Louise. Il testo teatrale di Tamara Balducci, Linda Gennari e Lorenzo Garozzo, ha invece un approccio molto più rispettoso e attento ai personaggi, con una visione scevra da pregiudizi e niente affatto interessata al sensazionalismo o al dettaglio sessuale (come nella graphic novel).
Nello spettacolo viene sottolineato molto bene (senza i dettagli grandguignoleschi del fumetto) lo shock che Paul subisce durante i due anni di guerra in trincea e che lo hanno indotto a disertare (non certo per la poca virilità). L’orrore della guerra è evocato da Suzanne quando spiega a Louise i motivi per cui lei nel libertinaggio che pratica al Bois de Boulogne fiorisce e si sente libera e amata.
Peccato che la riduzione teatrale si soffermi di più sugli uomini che Suzanne frequenta e non sulle donne (una delle quali abitò per un poco con lei e sua moglie…): crediamo più per esigenze drammaturgiche che per un (pre)giudizio “omosessuale” su Paul.
Dopo la trasformazione di Paul in Suzanne, che lo spettacolo risolve più sul piano del portamento e dell’attitudine che su quello fisico (Paul eliminò la barba con l’elettrocoagulazione, una tecnologia già esistente negli anni 20 che nello spettacolo viene nominata ma non portata in scena) è una donna a interpretare Suzanne mentre l’attore che interpreta Paul rimane come doppio quasi sempre presente in scena.
Una bella intuizione drammaturgica che sposta l’attenzione dal fatto che Suzanne sia una donna travestita al fatto che sia una donna tout court senza mettere in atto quella critica al binarismo di genere o all’eterosistema che sono temi contemporanei ma estranei agli anni ’20 quando si sono svolti i fatti.
Lo spettacolo vuole restituire il dolore interno di Paul che non è certo quello di un uomo tormentato dalla sua omosessualità, ma quella di un giovane traumatizzato (come tanti) dalla guerra che ha trovato nell’attenzione che donne e uomini gli davano ne panni di una donna come a un risarcimento per una vita altrimenti dura e faticosa.
Una presentazione dei fatti intellettualmente onesta e delicata che non violenta personaggi e situazioni ma appronta un discorso mesto, profondo e doloroso ma mai cupo o morboso. Molto molto meglio delle fonti di cui autrici e autore si sono serviti per scriverlo. Tamara Balducci fa di Suzanne una vera regina del Bois (com’era ricordata), invitando il pubblico, al quale si rivolge direttamente, a entrare nel parco raggiungendo una intensità indimenticabile ed emozionante.
Linda Gennari interpreta una Louise innamorata e timida (splendida la scena quando Suzanne la accompagna al Bois e le due donne osservano gli e le astanti attraverso il vetro di un’anta della finestra che si trasforma in una sorta di “lente di osservazione” e dove viene spiegato bene che a frequentare il Bois non c’erano talmente balordi e balorde ma anche l’alta società di Parigi) mentre Lorenzo Garozzo sa restituire il trauma del giovane soldato Paul con un dolore talmente vivo che anche il pubblico può toccarlo con mano.
La regia riesce a gestire in maniera esemplare il punto di vista cangiante dello spettacolo che passa elegantemente e senza soluzione di continuità da quello di Louise che trova in Suzanne una complice e una sorella (non manesca come suo marito Paul) e quello di Paul/Suzanne che rappresenta le due facce di una molteplicità di specchi: quello sociale uomo donna che serve a Paul per disertare, quello culturale che permette.a Suzanne comportamenti altrimenti preclusi a Paul e quello intimi e privato di un uomo così attratto dalle donne da eccitarsi a vestine egli stesso i panni.
Uno specchio scenicamente illustrato dalla finestra le cui ante ora chiuse ora aperte rappresentano il limine tra un interno borghese e un esterno altro da esplorare scavalcandone il confine. Una macchina scenografica di una elegante semplicità perché quando si hanno cose da dire non servono coup de théâtre o istallazioni complesse e macchinose.
Suzanne è uno spettacolo riuscitissimo che evoca situazioni emozioni e contesti con una misura anche nella durata (che sfiora l’ora). Uno spettacolo prezioso che costituisce anche una risposta coraggiosa alle esegesi fin troppo disinvolte piene di pregiudizi e luoghi comuni sull’omosessualità, l’inversione sessuale e il libertinaggio.
LE CITTÀ VISIBILI
SUZANNE
Liberamente tratto da “La Garçonne et l’assassin” di Fabrice Virgili e Danièle Voldman
drammaturgia di Tamara Balducci, Linda Gennari e Lorenzo Garozzo
regia César Brie
con Tamara Balducci, Giacomo Ferraù e Linda Gennari
luci e spazio scenico César Brie
scenografia Matteo Fiorini
costumi Ree Do Lab di Cristiana Curreli
sound designer Marco Mantovani
assistenti Vera Dalla Pasqua e Nicola Sorcinelli