Ancora una provocazione sul tema dell’interruzione di gravidanza a meno di due settimane dal 40° anniversario dell’approvazione della legge 194. Dopo quello di Provita è stato infatti affisso a Roma un manifesto che, fatto realizzare da CitizenGo, reca la scritta L’aborto è la principale causa di femminicidio nel mondo. Messaggio, questo, che acuisce lo scontro tra due fronti opposti: quello aderente alla Marcia per la vita del 19 maggio e quello che vedrà, il 26 maggio, scendere in piazza per il corteo di Non Una di Meno.
Da più parti si era levata la richiesta di rimozione a partire da Monica Cirinnà che aveva invocato l’intervento dell’Agcom, parlando su twitter di campagna “falsa e disgustosa”. Cosa che è avvenuta nella giornata del 16 maggio.
Contattata telefonicamente da Gaynews, Filomena Gallo, segretaria dell’associazione Luca Coscioni, ha definito «altamente offensivo il manifesto per chi affronta una scelta drammatica e tragica, nonché frutto di una sconosciuta piattaforma internet che promuove messaggi contro la scienza, i dati di fatto e la dignità delle donne. Nonostante tutto questo – ha proseguito – l’azione non intimidirà chi lotta per la libertà di scelta delle donne né metterà in dubbio la bontà e la legalità della libertà di scelta anche in materia di interruzione volontaria di gravidanza».
La campagna di CitizenGo si pone nello stesso orizzonte tracciato alcune settimane fa dal neosenatore leghista Pillon: l’aborto non sarebbe più solo un “peccato” paragonabile all’omicidio ma metterebbe a rischio la salute delle donne.
Su questo punto la stessa Luca Coscioni aveva già fatto notare che, tutte le procedure, mediche e chirurgiche, sono gravate da possibili complicazioni. Sulla base dell’ultima relazione del ministero della Salute sullo stato di applicazione della legge 194 l’associazione radicale afferma «che l’interruzione volontaria di gravidana (igv) effettuata in una struttura sanitaria da personale competente è una procedura sicura con un rischio di mortalità inferiore all’aborto spontaneo e al parto. Inoltre, non esiste alcuno studio scientifico serio che evidenzi alcuna correlazione tra interruzione di gravidanza e tumore alla mammella, come è stato sottolineato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’American College of Obstetrics and Gynaecologists.
Infine anche l’idea che l’igv provochi disturbi psichici viene smentita dagli studi della American Psychological Association e della Academy of Medical Royal Colleges, i quali concludono che nel caso di una gravidanza indesiderata, il rischio per la salute mentale è simile sia nel caso in cui la donna decida di interrompere la gravidanza, sia nel caso in cui la donna decida di portarla avanti.
Il rischio, insomma, si verifica quando una donna subisce qualcosa contrariamente alla propria volontà, fenomeno che può essere solo aggravato da simili campagne che accusano in maniera così diretta chi sceglie l’interruzione di gravidanza».
È di quest’avviso Serena Fredda, attivista romana di Non Una di Meno «I manifesti di Pro Vita cancellavano il corpo delle donne sostituendolo con quello dell’embrione, quelli di CitizenGo invece lo usano direttamente, accostandolo al femminicidio. Si tratta – ha spiegato Fredda – di una doppia criminalizzazione delle donne per la loro libertà e per le conseguenze delle loro scelte, associate a uno scenario di morte. È una campagna antiabortista che propone un messaggio vergognoso e dai toni sempre più inquietanti. Non Una di Meno ha risposto sostituendo sui social la parola “aborto” che le vere cause del femminicidio, come il patriarcato e la violenza sulle donne, che si traduce nella cultura dell’aborto illegale o non accessibile».
Fredda ha infine ricordato l’importante appuntamento romano di sabato 26 maggio (ore 17.00 in Piazza dell’Esquilino) promosso da Non Una di Meno e Unione Donne Italiane: la marcia in difesa della 194 al grido di Obiezione respinta in una con l’hastag #moltopiùche194.