Quasi 400 persone alla veglia di preghiera che, tenutasi ieri sera presso la chiesa parrocchiale Regina Pacis di Reggio Emilia, è stata presieduta dal vescovo Massimo Camisasca.
Un incontro d’eccezionale portata (anche in considerazione del milieu ciellino del presule, del suo tentativo in passato d’introdurre Courage in diocesi e dell’opposizione lo scorso anno al medesimo momento di preghiera), che è stato accompagnato nelle ultime settimane da non poche polemiche.
A partire da quelle sollevate dal Comitato di preghiera-riparazione 20 Maggio e, successivamente, dagli attacchi di gruppi tradizionalisti a seguito dell’intervista rilasciata da don Paolo Cugini, parroco di Regina Pacis, a Gaynews. Al punto che nella locandina d’annuncio d’una controveglia davanti all’episcopio di Reggio è stata posta in esergo una dichiarazione tratta da tale intervista a fronte delle celebri parole di s. Caterina da Siena nel Dialogo della Divina Provvidenza sulla sodomia. Per finire all’operazione di mailbombing contro Camisasca fino agli striscioni sull’omofollia di Forza Nuova.
Come dichiarato da don Paolo Cugini a Gaynews, Camisasca era visibilmente emozionato e in più punti commosso. Sono state molto apprezzate le parole del presule sull’accoglienza.
Criticate, invece, da non pochi esponenti del mondo associazionistico Lgbti quelle di taglio dottrinario coi consueti richiami al Catechismo della Chiesa cattolica. Alberto Nicolini, presidente di Arcigay Reggio Emilia, ha scritto su Facebook: «Il vescovo, alla veglia sull’omofobia dice che “forse” alcune persone si sono “sentite” discriminate. Forse se permetteva di leggere i dati di amnesty international usciva dal dubbio. Poi suggerisce che solo il matrimonio tra uomo e donna è fecondo (quelli sterili non contano) e la castità. Camisasca, è la castità ad essere contro natura. E i risultati, anche nel clero, si vedono».
Altri aspetti contestati sono stati quelli relativi alla modifica di parte del programma della veglia. Camisasca ha preteso la non partecipazione della pastora battista Lidia Maggi – precedentemente attaccata da Alessandro Corsini, portavococe del Comitato 20 Maggio – e della testimonianza di un ragazzo trans FtM d’origine egiziana.
Al contrario Camisasca non ha fatto alcun cenno alle teorie riparative di cui si fa portavoce e diffusore Courage (pur sempre lodata nel comunicato ufficiale di partecipazione alla veglia). Per don Paolo Cugini quello del 73enne Massimo Camisasca resta un gesto di grande significato tanto più che si tratta del primo vescovo italiano a presiedere ufficialmente una veglia di preghiera in occasione della Giornata internazionale contro l’omotransfobia.
«La maggior parte delle persone presenti, non addentro alle tematiche delle persone omosessuali – ha scritto il sacerdote reggiano sul suo blog – hanno colto il valore di una Chiesa che si sta sforzando di capire, di porsi al fianco delle persone Lgbt, per ascoltare la loro sofferenza, camminare con loro. A me sembra che la veglia abbia aiutato ad aprire gli occhi dei fedeli. È stato come un collirio. Grazie alla presenza del vescovo i fedeli si sono accorti che esistono persone omosessuali, che non ha senso demonizzarle, perché sono persone e perché davanti a Dio tutti possono inginocchiarsi e pregare.
La presenza del vescovo ha tolto il velo sui pregiudizi che derivano dall’ignoranza, e dall’accettare, senza riflettere, il pensiero comune. È stato, dunque, un atto di svelamento, di comprensione nuova. Ai fedeli presenti alla veglia è tata offerta la possibilità di comprendere in modo nuovo il mistero delle persone omosessuali».
Resta pur vero che determinati richiami al Catechismo, soprattutto al numero 2358 del Catechismo dove l’omosessualità è definita quale «inclinazione oggettivamente disordinata», potevano essere evitati tanto più che tale assunto è entrato solo recentemente nel magistero ordinario visto che in precedenza ci si soffermava con toni dannatori unicamente sugli atti. Una mera teoria teologica, dunque, che, se paragonata, ad esempio, a quella agostiniana del Limbo (fra l’altro menzionata in tutto il magistero antecedente il Vaticano II compreso il Catechismo di San Pio X e, invece, non presente nel Catechismo della Chiesa Cattolica che anzi legittima la «speranza che vi sia una via di salvezza per i bambini morti senza Battesimo»), potrebbe presto o tardi superata nell’ottica d’una accresciuta comprensione ecclesiale.
È notizia di ieri, fra l’altro, che Bergoglio nell’incontrare privatamente il cileno Juan Carlos Cruz, omosessuale e vittima di abusi durante l’infanzia da parte del sacerdote Fernando Karadima, gli avrebbe rivolto le seguenti parole: «Mi ha detto: ‘Juan Carlos, il fatto che tu sia gay non importa. Dio ti ha fatto in questo modo e ti ama in questo modo e a me non interessa. Il Papa ti ama come sei. Devi essere felice di chi tu sia».
E sempre ieri Il Corriere della Sera ha ospitato una lunga intervista al gesuita James Martin, consultore del neodicastero vaticano per la Comunicazione, di cui il 24 maggio uscirà per i tipi veneziani della Marcianum Press Un ponte da costruire. Una relazione nuova tra Chiesa e persone Lgbt (edizione italiana di Building a bridge) con tanto di prefazione dell’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi.
Nel rispondere all’esplicita domanda di Gian Guido Vecchi sui numeri del Catechismo dedicati all’omosessualità (in particolare il 2358), il noto teologo e giornalista di America Magazine, ha dichiarato: «Molte persone Lgbt mi hanno riferito che questa frase ferisce profondamente. Certo, dobbiamo capire che è una terminologia teologica con un significato preciso che viene dalla filosofia tomista.
Ma per una persona Lgbt vuol dire che una parte essenziale di sé — quella che ama, anche se con un amore mai espresso sessualmente — è disordinata. Qualcuno mi ha confidato che quella espressione lo ha portato vicino al suicidio. La mamma di un adolescente gay mi ha detto: “Ma la gente capisce cosa può provocare quel linguaggio in un giovane? Lo può distruggere”. Noi dobbiamo ascoltare quella madre».