Alle 17:45 del 22 maggio del 2013 si spegneva presso l’amata comunità genovese di San Benedetto al Porto, da lui fondata nel 1970, don Andrea Gallo.
Partigiano negli ultimi scorci della Guerra di liberazione italiana, sacerdote controcorrente, portavoce di istanze considerate progressiste dalle gerarchie cattoliche, don Gallo fu soprattutto compagno di viaggio delle persone più povere, emarginate, discriminate. Era indicato quale prete di strada. Fu anche etichettato in svariati modi soprattutto da chi ne mal digeriva il parlare schietto e l’agire evangelico.
Ma la vera definizione è quella che diede lui stesso di sé in un’intervista rilasciata nel 2008 a La Repubblica: «Comunista? Eh, la Madonna! Socialista? Ultimo dei no global? Mi sono state attribuite tante etichette ma io non ho scelto un’ideologia. A 20 anni ho scelto Gesù: ci siamo scambiati i biglietti da visita e sul suo c’era scritto: Sono venuto per servire e non per essere servito».
Di lui si ricorda la partecipazione al Pride di Genova del 2009 in pieno dissenso con le posizioni magisteriali sulle persone Lgbti. Ma soprattutto il fattivo sostegno a favore delle persone transgender di Via del Campo nel centro storico del capoluogo ligure. Grazie al suo impegno fu loro evitato lo sfratto dai bassi e fu costituita a tutela delle stesse l’associazione Princesa.
E nel quinto anniversario della morte di Don Gallo è uscito oggi nelle librerie per i tipi reggiani Imprimatur il libro L’amico degli ultimi. Don Gallo visto dalle princesas (pp. 112, euro 13). Ne è autrice Rossella Bianchi, presidente dell’associazione dal 2009 e autrice presso la medesima casa editrice di In via del Campo nascono i fiori (2014) e Angeli con le ali bagnate (2016).
Il perché di un tale omaggio al sacerdote ligure in una data così significativa lo ha spiegato la stessa Rossella Bianchi. «Credo sia un’impresa trovare qualcosa di non detto su don Gallo – ha affermato l’autrice –. Eppure c’è una categoria di persone che può ancora aggiungere altro. Siamo noi transessuali che lavoriamo nel ghetto ebraico del centro storico di Genova.
Andrea ci amava al punto da definirci “i miei apostoli” e noi andavamo fiere di questo appellativo. Solo a lui potevamo permettere di rivolgersi a noi usando il genere maschile».