È iniziato oggi presso l’Hotel Ergife a Roma e proseguirà fino al 24 maggio il 10° Congresso nazionale Icar, Italian Conference on Aids and Antiviral Research.
Ma durante la sessione di apertura c’è stata una forte azione di protesta da parte di componenti di Anlaids, Arcigay, Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, Lila, Nadir, Nps e Plus contro i tagli alla sanità che pregiudicano il diritto delle persone sieropositive a una vita dignitosa. Attiviste e attivisti hanno così occupato il tavolo dei relatori con cartelli recanti scritte diverse come quella I vostri tagli sulla nostra pelle o Noi positivi, Voi distruttivi e col simbolico nastro rosso dipinto sul viso.
Come dichiarato nel comunicato congiunto «Le nuove terapie consentono oggi di sopprimere la carica virale di Hiv rendendo le persone in terapia non infettive. Questo può permettere una buona qualità della vita e ha importanti ricadute sul piano della prevenzione. Per ottenere questo risultato, però, devono essere garantiti adeguati standard di assistenza e cura. Oggi, i tagli imposti alla spesa e la conseguente contrazione dei servizi rischiano di compromettere i buoni risultati raggiunti e il perseguimento degli obiettivi ONU a cui anche l’Italia ha aderito.
Le Nazioni Unite giudicano possibile la sconfitta dell’Aids entro il 2030 purché venga rispettato, già entro il 2020, il target: 90-90-90 che prevede che almeno il 90% delle persone con Hiv siano consapevoli del loro stato sierologico, di assicurare almeno al 90% di loro l’accesso alle terapie e, almeno nel 90% di questi casi, la soppressione della carica virale. Oggi le associazioni rivendicano la necessità di perseguire anche un quarto obiettivo, il cosiddetto “4° 90”: la garanzia, cioè per le persone con Hiv in terapia di una buona qualità della vita correlata alla salute.
Nel Piano nazionale Aids approvato dal ministero della Salute e dalla Conferenza Stato-Regioni sono previsti gli interventi per rendere il percorso di cura delle persone con Hiv più efficace e in linea con gli obiettivi terapeutici. Le associazioni chiedono il finanziamento del Piano come atto dovuto perché questo documento di indirizzo possa essere introdotto nella pratica clinica.
Le persone con Hiv restano infatti portatrici di alte e specifiche esigenze di salute in ragione della complessità della cura, della particolare vulnerabilità sociale, del progressivo invecchiamento della popolazione interessata e della possibile insorgenza di gravi patologie concomitanti. I tagli rischiano invece di riportare l’orologio indietro di vent’anni.
In tutta Italia assistiamo infatti alla riduzione di controlli ed esami clinici fondamentali per il monitoraggio della salute del paziente e ad un indebolimento del ruolo del medico infettivologo che andrebbe anzi rafforzato e reso protagonista del rapporto con altri specialisti per un approccio multidisciplinare alla salute del paziente.
Per rispondere alle nuove necessità di oggi, bisogna garantire al medico infettivologo il coordinamento con altri medici specialisti adeguatamente formati sull’Hiv, quindi in grado di garantire interventi competenti, tempestivi, multidisciplinari di monitoraggio ordinario e con una diagnostica adeguata».
Sandro Mattioli, presidente di Plus Onlus, ha dichiarato: «In parecchi centri clinici italiani è stato, oramai, adottato il criterio della turnazione tra i medici che seguono il paziente. Le motivazioni sono di carattere gestionale, tra cui il contenimento della spesa sanitaria. Che fine ha fatto il rapporto medico-paziente, che è stato per anni considerato la chiave del successo terapeutico in Hiv? Sono oramai troppe le persone che ci riferiscono di essere costrette a spostarsi dalle loro città per ricevere un’assistenza clinica multidisciplinare: ci chiediamo, provocatoriamente, se le parole ‘Sistema sanitario nazionale” abbiano, oggi, ancora significato».
Gli ha fatto eco Margherita Errico, presidente di Nps Italia, che ha affermato: «La discriminazione è ancora troppo presente nel nostro Paese. Mi preme ricordare l’ambito lavorativo e l’ambito dei servizi ai cittadini, anche quelli socio-sanitari. Mi chiedo come possiamo parlare di ‘normalizzazione’, quando di normale c’è solamente la difficoltà quotidiana della persona con Hiv nel garantirsi una vita serena, di prospettiva, come le persone senza Hiv? Perché il progresso scientifico, oramai consolidato, non va di pari passo con quello sociale, di garanzia dei diritti?».
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