Poco più di un mese fa si concludeva a Torino la 33° edizione del Lovers Film Festival. Alla luce del grande successo di critica e di pubblico abbiamo chiesto una valutazione a Giovanni Minerba, fondatore e presidnete della rassegna cinematrografica Lgbti.
Il 24 aprile scorso terminava il Lovers Film Festival del 2018: quali sono le tue riflessioni sull’edizione di quest’anno?
Più che riflessioni le chiamerei sensazioni o emozioni. Come sappiamo l’edizione dello scorso anno, con nuova direzione, quindi nuovo progetto artistico, collocazione a giugno, è stata un’edizione di “traghettamento” verso quella di quest’anno in cui abbiamo rivisto con piacere l’atmosfera degli anni passati. Anche i numeri sono aumentati: il pubblico è cresciuto del 20%, e questo è molto importante, perché ti dà energia, ti fa capire quanto il nostro pubblico sia affezionato al festival.
Il Lovers ha registrato, quest’anno, la presenza di artisti importanti come Rupert Everett e Valeria Golino. Quale il loro impatto sul pubblico?
Come dicevo, l’atmosfera era caratterizzata dall’entusiasmo. Rupert è stato delizioso accettando di venire a Torino per presentare l’anteprima del suo The Happy Prince. Per me un film bellissimo, che ha superato addirittura le mie aspettative. La madrina Valeria Golino, poi, è stata fantastica oltre ogni misura con quello che ha raccontato nell’incontro con Concita De Gregorio. Ma, soprattutto, perché ha scelto di essere con noi nonostante i suoi impegni per ultimare il film che ha poi portato a Cannes. Ne approfitto per ricordare come il tutto sia stato possibile grazie al contributo del Museo nazionale del Cinema.
Se dovessi proporre alcuni film del Lovers, quali citeresti per il loro impatto sulla comunità Lgbti e non solo?
Per me è sempre difficile citare alcuni dei film in un vasto e variegato programma. Ma lasciando da parte i concorsi, ne menziono due per me necessari: Mario dello svizzero Marcel Gisler, che affronta un tema importante ma ancora tabù come l’omosessualità nel mondo dello sport, in questo caso il calcio. Poi A Graça e a Gloria (film brasiliano di Flàvio R. Tambellini), in cui si affronta con “normalità”, senza necessarie rivendicazioni, la vita, la quotidianità di una persona trans: sono rimasto folgorato da questo film e dalla bravura e bellezza delle sue attrici.
Jo Coda ha presentato Xavier, un corto dal forte impatto emotivo nonché culturale e politico. Non scorgi in esso un legame con la storia di fondazione del festival?
Il festival nasce con queste intenzioni ma chiaramente legate alla parte artistica. Il film di Jo Coda, come i suoi precedenti, ha tutto insieme. Io ho fortemente voluto questo corto di Jo per la serata di apertura del festival e la direttrice Irene Dionisio ha accolto con piacere la mia proposta, perché il 20 aprile, come sappiamo, era l’anniversario dell’attentato parigino agli Champs-Élysées dove morì Xavier Jugelé, a cui è ispirato il film di Coda. Il festival deve continuare ad avere questa missione.
La rassegna ha oggi un nome diverso rispetto al passato: Festival del cinema omosessuale (Lgbt) di Torino. Sei d’accotdo?
Rispondo con franchezza come sono abituato a fare. Non sento ancora del tutto mio questo nome ma non per una questione “nostalgica”. Rispetto, comunque, chi ha scelto Lovers.
La città di Torino è da decenni in prima linea nella lotta alle discriminazioni verso le persone Lgbti: come ha risposto all’ultima edizione del festival?
Come mi è capitato di dire, è storia. A Torino è nato il movimento italiano di liberazione omosessuale con il F.U.O.R.I., è nato il primo “Festival del Cinema Omosessuale” d’Europa. Nel 1982 c’è stato il primo Gay Pride. Nel 2015 è stata inaugurata una via intitolata a Ottavio Mario Mai, mio compagno e fondatore del festival. Nel 2016 la Giunta di Torino ha istituito l’Assessorato alle Famiglie (non più alla famiglia) per l’inclusione di ogni tipo di famiglia comprese quelle omogenitoriali. È stato poi creato lo spazio dedicato ai diritti Lgbti, curato dal Coordinamento Torino Pride, all’interno dello stand della Regione Piemonte al Salone del libro di Torino. Questo per citare solo alcuni dei passi compiuti.
Poi, il 23 aprile 2018 Mentre era in corso la 33° edizione del Lovers, ha ricevuto il Premio Milk Monica Cirinnà, paladina della legge sulle unioni civili che porta il suo nome. Al Dams dell’Università di Torino è stato inaugurato il “Corso di Storia dell’omosessualità”. In Comune la sindaca di Torino, Chiara Appendino, ha trascritto gli atti di nascita esteri di figli di tre coppie omogenitoriali e ha iscritto all’anagrafe il piccolo Niccolò Pietro quale figlio di Chiara Foglietta e Micaela Ghisleni. Bisogna dire che qui a Torino, in Piemonte la Politica ha sempre dato il suo importante contributo.
Negli ultimi mesi si sono registrati Paese numerose aggressioni a persone Lgbti. Secondo te che cosa favorisce una tale violenza?
È inutile dire che, quando succedono questi casi, io rimango ancora estereffatto. Ripenso ai miei 40 anni di “militanza”. Ripenso a tutti quelli come noi che hanno fatto di tutto per cercare di arginare questa aggressività. Purtroppo però mi tocca sottolineare il “tutti quelli come noi”: non bastiamo solo noi o forse non lo facciamo bastare. Forse la “schizofrenia” della politica non è stata messa abbastanza alle strette perché si decidesse a fare una legge contro l’omotransfobia? Potrebbe bastare questa legge? Sì, se all’interno ci fosse un esplicito riferimento alla scuola, all’”educazione” scolastica.
Hai altre iniziative in programma?
Idee ovviamente molte anche se, in questo momento complicato, è difficile realizzarle. Ma mai arrendersi. Prossimamente su questi schermi!