La gioia immensa per l’attesa nascita, a Roma, della loro bambina dopo parto cesareo. E, poi, la delusione, la tristezza, la rabbia delle due mamme, V. e E., che, recatesi lunedì mattina 28 maggio all’Ufficio anagrafe, si sono viste rilasciare, nel tardo pomeriggio, un certificato recante il nome di una sola di esse. Ma non solo.
Ignorando volutamente che il concepimento della neonata è avvenuto a seguito di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo con gamete maschile di donatore anonimo, come peraltro indicato nella relativa cartella clinica, è stato fatto risultare un vero e proprio falso in atto pubblico. Sul certificato è infatti attribuita alla madre riconosciuta la dichirazione secondo cui la bambina è nata da un rapporto sessuale sì da negare alla stessa il diritto a un’identità corrispondente alla realtà.
Una prassi inaccettabile ma pressoché generale a fronte di una realtà ben diversa. «Un bambino su venti nasce in Italia da tecniche di riproduzione assistita – ricordava recentemente a Gaynews l’avvocato Alexander Schuster –. Ma per lo Stato civile italiano tutti sono nati da un rapporto sessuale».
Tale è stato l’atteggiamento avuto al riguardo dalla sindaca Virginia Raggi che, come denunciato da Famiglie Arcobaleno e Rete Lenford in un comunicato congiunto, «si è rifiutata di prendere atto della reale situazione di fatto, vale a dire del ricorso alla fecondazione eterologa con seme di donatore sconosciuto».
È quanto spiegato dalle avvocate Francesca Quarato (gruppo legale di Famiglie Arcobaleno) e Federica Tempori (gruppo legale di Famiglie Arcobaleno e di Rete Lenford), che seguono la coppia: «Le due madri si sono trovate davanti all’imbarazzo dei dirigenti del Comune, a cui la sindaca, diversamente da quanto avviene in altri Comuni, ha delegato la pratica, dimostrando di non voler prendere posizione».
Come se non bastasse, Virginia Raggi si è sempre rifiutata di ricevere Famiglie Arcobaleno e Rete Lenford, anche solo per un colloquio, nonostante le numerose richieste avanzate.
Le presidenti delle due rispettive associazioni, Marilena Grassadonia e Maria Grazia Sangalli, hanno dichiarato al riguardo: «Stupisce il fatto che Chiara Appendino, sindaca di Torino e collega di partito di Virginia Raggi, si sia resa protagonista di una nuova stagione dei diritti Lgbt, mentre la sindaca di Roma sia rimasta sorda alle istanze delle numerose famiglie omogenitoriali della capitale.
A Roma si è creata una situazione paradossale, poiché mentre si trascrivono – correttamente– i certificati di bimbi con due padri perché nati all’estero, i figli e le figlie di due madri nati in Italia rimangono totalmente privi di tutele».
Dell’accaduto si parlerà stamani nel corso della conferenza stampa di presentazione del Roma Pide, che avrà luogo alle 12.00 presso Largo Venue in via Biordo Michelotti 2.
E Sebastiano Secci, portavoce del Roma Pride e presidente del Circolo di Cultuta omosessuale Mario Mieli, rincalza: «Abbiamo appreso con rabbia e sconcerto la scelta del comune di negare, ancora una volta, i diritti dei più deboli: i bambini. Adesso è giunto il momento che la sindaca Virginia Raggi e la sua giunta prendano una posizione netta come hanno già fatto Sala a Milano, Appendino a Torino, Orlando a Palermo e tutti gli altri sindaci illuminati che hanno a cuore il benessere di tutti i bambini.
Quei certificati di nascita vanno trascritti subito perché ogni minuto di inerzia comporta un’inaccettabile violazione di diritti umani fondamentali».
«Il Pride di Roma del 9 giugno – continua Secci – sarà l’occasione per ribadire che nella nostra città non c’è spazio per la discriminazione. Lo diremo in maniera forte e chiara: giù le mani dai nostri figli.
Per questo mi auguro che dalla giunta capitolina e dalla sindaca Raggi arrivi presto un segnale inequivocabile in merito, dando indicazioni agli uffici dell’anagrafe di procedere alle iscrizioni degli atti di nascita dei figli di coppie formate da persone dello stesso sesso. Ne va della dignità e dei diritti di tutti i cittadini e su questo non possiamo accettare compromessi».