Sulla questione famiglie arcobaleno e genitorialità delle persone omosessuali il ministro dell’Interno Matteo Salvini, da consumato animale politico, continua a fare il gioco delle tre carte nel delicato equilibrio tra le istanze dei verdi di partito e quelle dei gialli di cogoverno.
Se, a fronte delle massicce reazioni alle dichiarazioni di Lorenzo Fontana rilasciate il 2 giugno, si era visto costretto a smentire cautamente, poche ore dopo, l’omologo leghista, il 6 giugno a Brindisi non ha esitato a rassicurare il suo elettorato – soprattutto la porzione cattolica legata alle galassie del Family Day e di ProVita – dichiarando: «Farò tutto quello legalmente, umanamente e civilmente possibile perché la mamma continui a chiamarsi mamma e il papà continui a chiamarsi papà. Un bimbo viene al mondo se ci sono una mamma e un papà. E viene adottato se ci sono una mamma e un papà».
Non a caso una salviniana di ferro come la neodeputata 30enne Vania Valbusa, che è in attesa di Anna (o Elena), ha pensato bene di presentarsi il 6 giugno alla Camera, in occasione del voto di fiducia al governo Conte, con una t-shirt rosa recante la scritta Sono una mamma, non sono un utero in affitto e di farsi così fotografare col concittadino Fontana. Una risposta alla senatrice Monica Cirinnà che, il giorno prima, si era recata in Senato. Anche lei con una t-shirt rosa: quella però dell’associazione Famiglie Arcobaleno.
Anche nel caso di Valbusa un messaggio chiaro alla falange elettorale gandolfiniana, che a Palazzo Madama ha il suo rappresentante in Simone Pillon e, fedele alla linea del caro leader bresciano, correla artatamente (o forse ignorantemente) la gestazione per altri alle coppie omosessuali maschili sottacendone il ricorso maggioritario da parte di coppie eterosessuali sterili.
E proprio Pillon, che di Gandolfini è legale nella causa intentagli da Arcigay per diffamazione continuata, è stato uno dei senatori della Lega a prendere la parola, in occasione del voto di fiducia al governo nell’aula di Palazzo Madama, dichiarando fra l’altro: «Bene avete fatto a prevedere un ministro, e quel ministro, quale titolare del dicastero della famiglia e della disabilità
Benissimo avete fatto a proporre una giustizia a misura di famiglia prevedendo l’affido materialmente condiviso per i figli delle coppie separate, perché è sacrosanto diritto dei bambini, previsto dalla convenzione Onu, crescere con la loro mamma e il loro papà».
Non senza un finale impetratorio misto a osservazioni di sapore wojtyliano: «Mi permetto infine di ricordare le vere radici culturali e sociali del nostro Paese, perché non si può pensare, come fa qualcuno, di mantenere i valori cristiani recidendo, con assurde pretese ideologiche, le nostre radici cristiane. Lo dico ai colleghi del PD: lo Stato è laico, non laicista. Signori del governo, saremo felici di collaborare con voi. Buon lavoro! E che Dio benedica l’Italia».
Ma tali dichiarazioni dal sapore naturalfamilistico e clericale iniziano a stare strette e a suscitare disappunto, se non malumore, nelle file del M5S. Dopo l’iniziale silenzio dei pentastrali, rotto nella tarda serata del 2 giugno da alcune affermazioni calibrate di Morra e dell’ex parlamentare Di Battista, sembra che qualcosa inizi a muoversi.
Ieri sera, intervistato a Piazzapulita su La7, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, pur ribadendo che si tratta d’una sua «opinione personale», ha dichiarato: «Per me le famiglie arcobaleno esistono».
Ma è soprattutto a livello regionale e locale che la discrepanza di vedute è ancor più netta.
Sempre ieri, ad esempio, la capogruppo Roberta Lombardi alla Regione Lazio, ospite del programma di Rai Radio1 Un Giorno da Pecora, condotto da Giorgio Lauro e Geppi Cucciari, ha dichiarato senza troppi giri di parole: «Secondo Fontana le famiglie arcobaleno non esistono? Consigliamo al nostro alleato Fontana di aprire gli occhi. E vedere la realtà intorno a lui».