La storia d’amore di Claudio, aristocratico romano, unitosi in matrimonio con Porzia (che non ama), e del suo giovane concubino Ligdo è al centro del romanzo Ritorno in Egitto (Marlin edizioni) pubblicato da Giovanna Mozzillo, scrittrice e giornalista napoletana, che ci conduce, con grande attenzione e sensibilità, nella suggestiva società del III secolo, al tramonto dell’impero, in un mondo che si sta profondamente trasformando in virtù della veloce diffusione del cristianesimo.
Nella ricostruzione storica dell’autrice l’amore, quello vero, quello tra Claudio e il suo amante, è improvvisamente messo in discussione dall’etica del nuovo messaggio del Nazareno che, se da un lato professa amore e carità, dall’altro introduce nell’immaginario tardo-imperiale il senso di colpa e la vergogna per tutto ciò che afferisce al sesso e alla sfera del desiderio e dell’amore terreno.
Ecco, allora, che il romanzo di Giovanna Mozzillo, mentre ci consente di seguire le avvincenti vicissitudini dei due personaggi, divisi dal caso e da un’imprevedibile congiuntura di impegni, ci permette di riflettere sulle dinamiche profondamente sessuofobiche che, del tutto ignote agli antichi, stravolsero abitudini e rapporti di relazione dando origine al disprezzo, tuttora spesso reiterato, per la vita dei sensi e il piacere della carne.
L’autrice, servendosi di un dettato narrativo sapientemente strutturato e della propria vasta e convincente cultura storica, restituisce al lettore il senso profondo di un corto circuito emotivo e semantico che investe un’intera epoca, facendo emergere con chiarezza le contraddizioni implicite e sempre vive nella credenza giudaico-cristiana.
Il ritorno di Claudio in Egitto, in seguito allo smarrimento antropologico-culturale di cui è vittima, è un vero è proprio “ritorno alle madri”, cioè alla cellula originaria della propria natura di uomo che gode della vita e che ama e che, in virtù del proprio intelletto e della consapevole stima per una vita fisiologicamente sana, rifiuta con decisione di vivere in un occidente “guastato” da una dottrina che nega, colpevolizza e criminalizza la legittima ricerca dell’armonia e della felicità.