Riguardando i diritti della persona che devono essere decisi in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, la trascrizione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero è competenza esclusiva del giudice ordinario e non di quello amministrativo.
Questo, in sintesi, il contenuto della sentenza nr 16957 che, depositata ieri dalle Sezioni unite Civili della Suprema Corte di Cassazione, ha accolto il ricorso di due donne, Costanza e Monia, ‘sposate’ dall’allora sindaco di Roma Ignazio Marino, il 18 ottobre del 2014, con trascrizione del matrimonio celebrato precedentemente a Barcellona. Quel giorno, come noto, in Campidoglio furono 16 le coppie di persone dello stesso sesso a celebrare la loro unione.
Successivamente, su input dell’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano, il prefetto di Roma incaricava il viceprefetto di annotare sul registro dello stato civile l’annullamento della trascrizione in considerazione della ferma opposizione d’Ignazio Marino di procedere in tal senso.
Costanza e Monia fecero allora ricorso al Tar del Lazio che negò il diritto delle coppie omosessuali alla trascrizione delle nozze, stabilendo però che della materia non si potevano occupare né i prefetti né le circolari del Viminale che esortavano a sconfessare i sindaci.
Nel 2015, su reclamo del ministero dell’Interno, il Consiglio di Stato sentenziò che i prefetti, come autorità sovraordinata al sindaco, erano pienamente titolati ad avere voce in capitolo sulle nozze tra persone dello stesso sesso trascritte dai sindaci.
Ieri la Cassazione ha invece annullato con rinvio la sentenza del Consiglio di Stato affinché i giudici amministrativi rivedano la loro decisione e affidino al giudice ordinario il compito di valutare se il sindaco Marino ha fatto bene o male a registrare il matrimonio tra Costanza e Monia.
Una tale sentenza pone, fra l’altro, una pietra tombale sulla campagna promossa da CitizenGo e Generazione Famiglia perché il ministro Matteo Salvini dia incarico ai prefetti di annullare le registrazioni anagrafiche dei “bambini” arcobaleno fatte da vari sindaci.
Appello che, ieri, è stato prontamente quanto surrettiziamente modificato con riferimento al Consiglio dei Ministri.
Contattato da Gaynews, così ha commentato il verdetto l’avvocato Alexander Schuster: «La sentenza era lungamente attesa se pensiamo che l’udienza si era svolta a gennaio dello scorso anno. Si tratta d’una sentenza assolutamente ineccepibile che fa giustizia di quelle sentenze del Consiglio di Stato del 2015 che avevano di fatto avallato, in maniera assolutamente scorretta, le circolari Alfano. Circolati che davano ai prefetti poteri che nessuno aveva mai immaginato e che difficilmente avevano trovato consenso nella comunità dei giuristi.
Tant’è che poi, nel 2016, lo stesso Consiglio di Stato ha riconosiuto il proprio errore affermando che i prefetti non hanno tale potere.
Personalmente attendevo una tale sentenza perché di fatto chiamaa in causa, da un punto di vista tecnico, la divisione fra giudici ordinari (tribunali, Corti d’Appello e Cassazione) e giudici amministrativi. È stato ribadito, una volta per sempre, come il diritto di famiglia e le questioni che riguardano i diritti civili siano materia esclusiva dei giudici ordinari.
Sono altresì contento perché i giudici del Consiglio di Stato avevano preso di mira la decisione della Corte di appello di Napoli sul matrimonio delle mie assistite Giuseppina La Delfa e Raphaëlle Hoedts. L’avevano di fatto sbertucciata – e con essa tutta la giustizia ordinaria – e, muovendo da questo esempio, il giudice Deodato aveva benedetto i prefetti come gli unici che potevano ripristinare l’ordine giuridico in Italia e garantire l’uniforme applicazione del diritto. Come dire: Che ci sta a fare la Cassazione allora se bastano i prefetti spalleggiati dalla giustizia amministrativa?
Ora le Sezioni unite hanno riposto ognuno nei propri confini».
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