Quando finirà una tale marea di persone, striscioni, bandiere tricolori e arcobaleno?
Questa la domanda che si sono posti ieri in tanti nel vedere sfilare a Milano, lungo corso Buenos Aires, la parata del Pride.
Già, perché la marcia lombarda dell’orgoglio Lgbti, ha superato ogni aspettativa. Oltre 250mila le persone presenti, molte delle quali hanno assistito al flashmob conclusivo di Angelo Cruciani. Il suo Tricolor&Arcobaleno è stato uno spettacolo emblematico, che ha riunito in un’unica bandiera il tricolore e l’arcobaleno, «stendardo e baluardo dei diritti di tutti, di ogni cittadino che sia bianco o di altri colori, residente o migrante, eterosessuale o alternativ-sessuale».
Organizzato dal Cig Arcigay Milano e dal Coordinamento Arcobaleno, il Milano Pride ha lanciato un chiaro messaggio contro le discriminazioni e i nuovi estremismi secondo il motto programmatico #CiviliMaNonAbbastanza.
Una marea arcobaleno contro le dichiarazioni discriminatorie e xenofobe di Fontana e Salvini
Un messaggio inequivocabile anche al governo e, in particolare, alla Lega.
C’è chi ha sfilato con un gonfiabile raffigurante il volto del ministro dell’Interno Matteo Salvini. Chi, come a Pompei, ha portato in prima fila l’oramai noto cartello – il cui primo esemplare era stato rimosso, il 16 giugno, dalla Digos nel corso del Siracusa Pride – Sempre in lotta contro Salvini, l’omofobia e altri confini.
In tanti hanno soprattutto protestato contro il ministro Lorenzo Fontana ricordando che «le famiglie arcobaleno esistono e non sono schifezza o fritti misti».
Un concetto, questo, ribadito a più riprese dal palco in piazza Oberdan. «Non sono i ministri – così il presidente di Arcigay Milano Fabio Pellegatta – che definiscono quali sono i nostri diritti ma siamo noi con le nostre vite. Essere qui è il più grande messaggio politico che potevate portare». Ed è stato l’assessore comunale alle Politiche sociali del Pierfrancesco Majorino a lanciare l’appello: «Salvini, Fontana, venite qua e contateci».
Apprezzatissime le parole del sindaco Giuseppe Sala: «Popolo del Pride, Milano è casa vostra e io sono fiero di essere il primo cittadino di questa città che si è sempre basata e si baserà sempre sui diritti e sui doveri: prima di tutto il diritto di manifestare il proprio valore e noi vi difenderemo da tutti quelli che mettono in discussione questo».
Le valutazioni di Viotti, Scalfarotto, Paladini e Cecchi Paone
E sul Milano Pride Gaynews ha raccolto i pareri di alcuni testimoni diretti.
Per l’europarlamentare Daniele Viotti, che ha lanciato ieri la campagna La Regione che non c’è in risposta alle dichiarazioni critiche del governatore della Lombardia Attilio Fontana, «quello di Milano, come gli altri Pride a cui ho partecipato quest’anno, è stato toccante per la quantità di persone che ha partecipato. C’è una resistenza civile alle destre che governano questo Paese che è nata e si sta sviluppando nei 28 pride che stanno animando l’Italia.
Più di una volta è partito spontaneamente il coro di Bella ciao. E personalmente mi sono molto emozionato a cantare Bella ciao con Beppe Sala, sindaco di Milano, città medaglia d’oro per la Resistenza.
Purtroppo non ho potuto fare a meno di pensare alle ragazze e ai ragazzi di Istanbul che oggi avrebbero voluto fare il proprio Pride ma per il terzo anno consecutivo gli è stato impedito. Domani in aula a Strasburgo chiederò che il Parlamento Europeo si pronunci anche su questo».
Ha fatto invece riferimento alle contestazioni contro la presenza della delegazione M5s il deputato dem Ivan Scalfarotto, per il quale quello di Milano «è stato un Pride molto speciale, estremamente partecipato, affollato e festoso come non mai.
Io credo sia stato così perché le persone che hanno affolllato le strade di Milano hanno percepito il pericolo rappresentato da un governo che si è caratterizzato sin dai primi giorni da una stretta sui diritti umani: le contestazioni al gruppo del M5S ne sono la dimostrazione.
La storia ci insegna che, quando una minoranza o un gruppo sociale vengono fatti oggetto di discriminazione, è impossibile impedire che altri minoranze siano presto o tardi attaccate. Quando si accetta come normale che la maggioranza delle persone perda il rispetto per chi maggioranza non è, tutti sono potenzialmente in pericolo. La fiumana di gente di Milano è stata un potente antidoto al veleno che la maggioranza di governo sta cercando di insinuare nella nostra comunità nazionale».
Secondo Luca Paladini, fondatore de I Sentinelli di Milano, «anche il capoluogo lombardo ha dato una risposta di proporzioni gigantesche a chi ci vuole riportare all’era delle caverne. Anche a Milano, e ormai da anni, non è stata solo una giornata di lotta e di festa della comunità Lgbti, ma di tutti quelli che si riconoscono nel principio della laicità e dell’autodeterminazione. Gli steccati si sono rotti. Per fortuna.»
Per Alessandro Cecchi Paone «il Milano Pride è stato un grande successo: l’Onda Pride a difesa delle libertà di tutti che appaiono di nuovo sotto minaccia».
Minacce di morte a Wajahat Abbas Kazmi
Minacce di morte e insuti ha invece ricevuto l’attivista pakistano Wajahat Abbas Kazmi, ideatore della campagna Allah love equality, colpevole, secondo alcuni gruppi Facebook di arabo-francesi e arabo-italiani, di aver offeso il Corano baciando pubblicamente un giovane marocchino che sfilava con la bandiera nazionale.
Offese che sono state poi estese anche ad alcune giovani marocchine che hanno sfilato in velo al Pride.
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