Mai normativa fu più tormentata come la legge 40, di cui tornerà nuovamente a occuparsi la Corte Costituzionale.
Ma, come dichiarato dall’avvocata Maria Antonia Pili, «grazie alla decisione del Tribunale di Pordenone la Consulta affronterà per la prima volta la questione della fecondazione assistita alle coppie omosessuali».
Infatti una coppia di donne, da lei assistite legalmente, si è vista accogliere dalla giudice Maria Paola Costa la richiesta di sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma che attualmente vieta in Italia l’accesso all’accennata pratica di pma anche alle coppie di persone dello stesso sesso.
Alle due donne era stato infatti opposto un tale rifiuto dal Servizio per i trattamenti di pma presente nell’Azienda sanitaria 5 di Pordenone proprio in base a quanto prevede la normativa.
Di fronte al diniego della struttura pubblica, le due donne avevano chiesto in tribunale, qualora non fosse stato possibile in via diretta – ovvero con un’interpretazione costituzionalmente orientata – superare il rifiuto dell’Azienda sanitaria, di investire della questione la Corte Costituzionale al fine di dichiarare formalmente l’incostituzionalità di tale divieto.
E così la giudice pordenonese ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione posta dall’avvocata Pili, stante il palese contrasto del divieto con gli articoli 2, 3, 31 (comma 2) e 32 (comma 1( della Costituzione (quelli cioè relativi ai diritti degli individui e alla loro uguaglianza innanzi alla legge) nonché con l’articolo 117 (comma 1) della medesima Carta (che prevede il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali) in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali (Cedu): il primo incentrato sul diritto al rispetto della vita privata e familiare, il secondo sul divieto di discriminazione.
«Sarà ora la Corte Costituzionale – ha commentato l’avvocato Pili – a pronunciarsi su tale discriminazione basata esclusivamente sull’orientamento sessuale delle persone, ormai intollerabile anche nel nostro paese dati i precedenti sia legislativi sia giurisprudenziali intervenuti in tale ambito».
Sul ricorso così si è espressa Marilena Grassadonia, presidente di Famiglie Arcobaleno: «Questa è una notizia importante. Come Famiglie Arcobaleno lo diciamo da tempo. La legge 40 è una legge antica e ipocrita ed è urgente e necessaria una sua riscrittura.
Le donne (single o in coppia, eterosessuali o lesbiche) devono poter accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita qui in Italia e non essere costrette a prendere un volo per diventare madri.
La fecondazione eterologa grazie alle numerose sentenze è già realtà anche nel nostro Paese ed è arrivato il momento di renderla accessibile a tutte le donne, senza distinzioni e discriminazioni. Uniamo le forze e andiamo avanti insieme anche in questa battaglia di civiltà».
Nella giornata d’ieri, invece, si sarebbe dovuta tenere presso il tribunale civile di Pesaro la prima udienza a seguito del ricorso, depositato il 14 maggio dalla locale Procura, in riferimento alla trascrizione degli atti di nascita californiani di due gemelli, figli d’una coppia di due uomini, presso il Comune di Gabicce Mare. Udienza rinviata a settembre per l’assenza dei due papà.
La sostituta procuratrice Silvia Cecchi ha fatto ricorso per sospetta violazione dell’ordine pubblico senza però chiedere la cancellazione dell’atto
La registrazione dei gemelli arcobaleno di Gabicce Mare è stata fra l’altro oggetto, il 20 giugno, d’uno degli esposti presentati da CitizenGo e Generazione Famiglia anche se indicato erroneneamente come caso d’iscrizione anagrafica. In ogni caso la Procura della Repubblica di Pesaro si è mossa sua sponte e ampiamente in anticipo, come detto, con la sola finalità di fare chiarezza su quanto avvenuto.