Un’informazione mirata alle tematiche Lgbti è diventata sempre più importante nel panorama giornalistico dei nostri tempi. Non solo perché la collettività rainbow è riuscita a esprimere in maniera decisa le proprie istanze di rivendicazione. Ma anche perché si è registrata, nel tempo, una graduale e costante richiesta di notizie puntuali e corrette su la vita, la cultura e le politiche relative all’universo Lgbti.
Uno dei massimi riferimenti nazionali per tale informazione è, da qualche anno a questa parte, Francesco Lepore, latinista, saggista ed ex sacerdote: spirito brillante e anticonformista, dal maggio 2017 è caporedattore del quotidiano Lgbti online più “antico” d’Italia, cioè Gaynews.it, diretto da Franco Grillini, leader storico del movimento Lgbti italiano.
A lui Giovanni Caloggero, presidente di Arcigay Catania e consigliere nazionale di Arcigay nonché figura di spicco della lotta di rivendicazione per i diritti Lgbti in Italia, ha voluto porre alcune domande.
Francesco, com’è nato in te il desiderio di svolgere questo lavoro di informazione?
La passione per il giornalismo mi accompagna dall’adolescenza, trascorsa a Benevento. Scrivevo articoli di cultura per alcuni quotidiani e settimanali locali. Tale passione è stata poi coltivata negli anni di sacerdozio. Sì, perché ho esercitato il ministero presbiterale per sette anni, prima di deporre “la tonaca” nel 2006, per vivere apertamente la mia condizione omosessuale.
Durante il triennio di permanenza in Vaticano (2003-2006), dove sono stato officiale prima della Segreteria di Stato quale latinista poi della Biblioteca Apostolica Vaticana quale segretario del card. Jean-Louis Tauran, sono stato collaboratore della Terza Pagina de L’Osservatore Romano (il cui direttore dell’epoca Mario Agnes mi voleva bene come un figlio) e ho scritto, a volte, recensioni di libri per La Civiltà Cattolica.
Una volta abbandonato il ministero, è stato per me quasi conseguenziale dedicarmi a tempo pieno all’attività d’informazione. Ho fatto il mio praticantato presso la redazione di Sky TG24.it. Quindi il concorso per giornalista professionista, cui sono successivamente seguiti il master in Digital journalism presso la Pul, lo stage presso Huffington Post e l’impegno come caporedattore presso Pride Online.it e, a partire dal maggio 2017, presso Gaynews.it.
Tu non sei associato, crediamo, a nessuna organizzazione politica Lgbti: questo elemento costituisce per te un fattore positivo?
Sì, è così. Ciò costituisce, a mio parere, un fattore enormemente positivo, perché mi permette autonomia e indipendenza valutativa su quanto attiene al variegato universo associativo Lgbti italiano.
Il lavoro di giornalista richiede una deontologica equidistanza da ogni soggetto “politico” e, quindi, la massima oggettività nel racconto editoriale. Quanto ti impegna questa attività soprattutto nella ricerca delle fonti e dei fatti oggettivi?
Premesso che ognuno è soggetto a condizionamenti di vario tipo, pongo personalmente la massima cura nel garantire un’informazione che si attenga il più possibile all’oggettività. La ricerca è la stessa che attua qualsiasi giornalista innamorato della propria professione. Occupa, dunque, la maggior parte di ogni singola giornata.
Recentemente nell’accesissimo dibattito sulle ben note posizioni di ArciLesbica abbiamo rilevato toni assai forti e posizioni nettamente contrapposte da tutte le parti ivi comprese quelle di chi fa informazione. Quale è la posizione di Gaynews in merito? In particolare, ritieni questa vicenda come un momento dialettico forte dentro il movimento o pensi che ArciLesbica sia e debba essere considerata fuori dal movimento?
La posizione di Gaynews è totalmente scevra da ogni sorta di preclusione alla questione gpa, da cui appare invece ossessionata in maniera unilaterale ArciLesbica Nazionale. La dice lunga che a polarizzare quasi esclusivamente la loro attenzione sia la condanna di quanto, al pari di Lega, Fratelli d’Italia e cattoreazionari, chiamano con toni spregiativi “utero in affitto” – complesso lemmatico che connota negativamente a priori tale pratica di pma – . Condanna che va di pari passo con una visione biologistica non solo della maternità ma anche della femminilità, da cui scaturiscono i ben noti attacchi alle donne transgender non sottoposte a intervento chirurgico di riattribuzione del sesso. Sul resto, da parte loro, ne verbum quidem. Non meraviglia pertanto che, dopo l’ultimo congresso elettivo, molti circoli si siano disaffiliati e abbiano costituito quella nuova realtà che è Alfi.
Contrariamente a quanto vanno dichiarando nei loro comunicati – come l’ultimo sulla nomina di Sergio Lo Giudice a responsabile del Dipartimento Diritti civili del Pd – la maggior parte delle donne lesbiche italiane non si sente e non è affatto rappresentata da un’entità sempre più esigua ed esangue, che condivide le proprie vedute con partiti/enti parapolitici di destra e alcune frange conservatrici del femminismo italiano. Quindi più che considerare ArciLesbica al di fuori del movimento, ritengo che sia ArciLesbica ad essersi posta automaticamente fuori dal movimento con tali prese di posizione antilibertarie e antidialogiche.
Hai seguito, durante questa stagione di Onda Pride oramai quasi al termine, tutti i Pride dandone per ciascuno ampie informative senza tralasciarne nessuno. Quale è la tua valutazione di questa stagione?
L’Onda Pride 2018 è stata d’eccezionale importanza non tanto per il numero delle singole marce dell’orgoglio Lgbti e dei rispettivi partecipanti. Elemento, questo, non da poco, se si considera che il Roma Pride con le sue 500.000 presenze ha suscitato una reazione piccata da parte di Salvini. Ma è stato soprattuto d’eccezionale importanza, perché ha ricordato che le persone Lgbti non sono unicamente ricurve su sé stesse. Ma sentono come proprie le battaglie di tutte quelle minoranze, che vedono conculcati i propri diritti e la propria dignità da politiche sempre più fascisteggianti.
Catania e Siracusa sono state da te raccontate nei minimi dettagli prima, durante e dopo i rispettivi Pride. Hai rilevato delle peculiarità in queste due manifestazioni?
I Pride gemellati di Catania e Siracusa mi hanno affascinato per il loro documento politico e la scelta dello slogan quanto mai attuale Mare, Umanità, Resistenza. Quella resistenza, che le forze dell’ordine hanno tentato a Siracusa di arginare con la rimozione di un innocuo cartello contestatorio nei riguardi del ministro dell’Interno. Perché alla fine, ieri come oggi, è la manifestazione del proprio pensiero a suscitare timore. Ma quel gesto ha avuto un solo effetto: la riproposizione dello stesso cartello in molti Pride successivi, per ribadire che niente e nessuno potranno soffocare il dissenso.
Tu non sei siciliano, anche se hai un compagno sicilianissimo. Cosa ti ha spinto a dedicare attenzione così puntuale sia ai Pride siciliani sia alle attività che si svolgono in Sicilia?
L’attenzione è dovuta al fatto che considero la Sicilia un po’ come la mia seconda casa dopo aver conosciuto Michele. Senza dimenticare l’elemento storico, per me sempre fondamentale. La nascita del primo circolo di quella che sarebbe diventata la prima realtà associativa Lgbti italiana, cioè Arcigay, è infatti correlata al tristemente noto delitto di Giarre.
Arcigay andrà a congresso a novembre a Torino. Cosa ti aspetti e cosa vorresti da questo congresso?
Credo che quanto vorrei sia di nessuna importanza. In ogni caso mi aspetto che Arcigay trovi un rinnovato slancio all’indomani del congresso di Torino. Ho notato negli ultimi anni un certo appiattimento a livello centrale – differentemente da quello locale contrassegnato da una forte dinamicità – e una scarsa incidenza sul piano politico rispetto al passato. Colpa non certamente attribuibile ai vertici dell’associazione. Si tratta in realtà di un riflesso delle condizioni generali in cui versa l’intero movimento.
Sarebbe forse opportuna anche una certa “creatività” nella scelta delle cariche. Mutatis mutandis, mi sento di citare, a tal proposito, le parole spesso dette da un vescovo a parroci anziani che, attaccati al privilegio dell’inamovibilità, non volevo essere destinati altrove. «Il ricambio – osservava – farà bene alle realtà in cui siete stati e farà bene a voi stessi. Altrimenti sarebbe la morte per entrambi».
Cosa vorresti e ti aspetti dalla Sicilia Lgbti?
Un impegno fedele alle linee delle tante e tanti attivisti del passato. La Sicilia ne annovera veramente tante e tanti. Sarebbe poi auspicabile che le tante persone omosessuali – che ancora per diversi motivi celano la propria condizione – abbiano il coraggio di spezzare il muro dell’omertà personale, fare coming out e collaborare per rendere questa terra sempre più libera da ogni forma di discriminazione.
Tu sei un latinista: sappiamo che scrivi anche in latino e, avendoti letto anche in questa lingua, abbiamo visto che scrivi correttamente e con stile latino diremmo perfetto. Raccontaci qualcosa di questa tua passione.
La mia passione per la lingua latina è la più bella eredità che mio padre mi ha lasciato. Sin da piccolo mi ha educato all’amore non solo per i classici ma anche per il latino medievale. Da seminarista e, poi, da sacerdote – a fronte di una progressiva ignoranza del sermo patrum da parte dei chierici – ho coltivato una tale passione per il desiderio di andare direttamente alle fonti e comprenderne il genuino significato.
C’è poi stata l’accennata quanto proficua esperienza presso la Sezione Lettere Latine in Segreteria di Stato, accompagnata da pubblicazioni e cura di edizioni critiche come quella data alle stampe nel 2003 e relativa a un sermone di Davide di Benevento (fine VIII° secolo). Uno dei miei hobby è tuttora quello di “andare a caccia” di epigrafi sepolcrali in latino come anche quella di comporne su commissione. Infine curo su Huffington Post un blog in latino, Gaia Vox. Un passatempo piacevole, che mi permette di scrivere ironicamente e provocatoriamente di questioni Lgbti in quella che di fatto resta la lingua ufficiale della Chiesa.
Spesse volte hai toccato il tema della fede e omosessualità, tema abbastanza delicato e forse anche divisivo. Quale è la tua posizione in merito e quanto in essa influisce la tua esperienza personale?
La mia posizione è quella di un osservatore della realtà ecclesiale che, piaccia o no, non si può altezzosamente liquidare come di nessun rilievo. Ritengo di non essere più credente – o, almeno, non nel senso cattolico del termine – ma questo non mi porta a condannare aprioristicamente quanto dicono o fanno papa, vescovi e preti. I tunicati hanno pieno diritto di dire la loro su ogni questione. Noi, però, abbiamo pieno diritto di valutare tutto e, all’occorrenza, criticare. Soprattutto, quando, in ambiti, squisitamente attinenti alla vita privata degli individui e alla laicità dello Stato, si nota una volontà di condizionare l’azione degli uomini e delle donne delle istituzioni.
Resto, comunque, sempre del parere che, se ciò avviene, la colpa non è tanto di Oltretevere quanto di parlamentari proni ad Petri pedes e pronti a rendere più vicine quelle rive che, invece, dovrebbero sempre restare ben distanziate.
E, infine, qual è il tuo rapporto con Franco Grillini e quanto la figura di questo gigante del movimento influisce sulla tua attività?
Il mio rapporto con Franco è quello di reciproca stima e affetto. Per me è punto di riferimento quotidiano. Ci sentiamo e scriviamo via WhatsApp più volte al giorno. Anche perché lui è il direttore di Gaynews. Resto piacevolmente sorpreso della pressoché totale comunanza di vedute. Aspetto, questo, che ha permesso al quotidiano di affermarsi sempre più sul piano dell’informazione Lgbti italiana. Non è un caso che, a fronte dei reiterati proclami giustizialistici a seguito della ben nota vicenda della Locanda Rigatoni, la linea del dialogo e del confronto sia stata e resti quella condivisa da entrambi sin dal primo momento.
Franco costituisce poi per me un punto di riferimento quale memoria storica degli ultimi decenni di attività del movimento. Da parte sua noto, invece, un grande interesse per il latino e questioni ecclesiali con quesiti e valutazioni, che costituiscono momenti veramente piacevoli delle nostre conversazioni