«Grazie alle 1.200 persone che, questa mattina, hanno partecipato al mio intervento sui Cattolici Lgbti durante l’Incontro mondiale delle Famiglie in Dublino e che hanno aspettato per tre ore in fila per tre ore perché firmassi copie del mio libro. Ero così riconoscente di essere stato invitato dal Vaticano e di conoscere tutti #Wmof2018 Il mio cuore è pieno di gratitudine».
Con queste parole il gesuita James Martin, consultore della Segreteria vaticana per la Comunicazione e autore di Building a bridge (edito in Italia per i tipi veneziani della Marcianum Press col titolo Un ponte da costruire. Una relazione nuova tra Chiesa e persone Lgbt e con prefazione dell’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi), ha commentato su Facebook la vera e propria standing ovation che è seguita alla conclusione della sua relazione sul tema Mostrare rispetto e accoglienza nelle nostre parrocchie per le persone ‘Lgbt’ e le loro famiglie.
Quello del gesuita statunitense, che è anche editorialista del magazine America, è stato il secondo incontro dedicato alla collettività arcobaleno nell’ambito del Congresso pastorale del World Meeting of Families. Ieri sera era infatti toccato al confratello britannico Dominic Robinson e al cattolico gay Nick O’Shea parlare di iniziative pastorali a caratura Lgbti con riferimento alla diocesi di Westminster.
James Martin ha ricordato come le persone Lgbt siano «state spesso trattate come lebbrosi dalla Chiesa», nonostante l’esempio e l’invito di Cristo ad accogliere e amare tutti coloro che sono marginalizzati dalla società. «Non accogliendo ma escludendo le persone Lgbt, la Chiesa – ha aggiunto il gesuita – sta venendo meno alla sua chiamata a essere famiglia di Dio».
Con riferimento particolare a quante di loro sono state battezzate come cattoliche, ha fatto anche notare che esse non scelgono il proprio orientamento sessuale, portano doni alla Chiesa, desiderano conoscere Dio e sono amate da Dio.
Invitando le comunità ecclesiali a essere accoglienti verso le persone Lgbti e le loro famiglie, Martin ha osservato come in un mondo «diviso da opposti approcci pastorali ai cattolici Lgbt, se sei gay, lesbica, bisessuale o transgender e cerchi di dare un senso alla tua relazione con Dio e la chiesa, sei fortunato se vivi in una grande città con pastori aperti. Se vivi in un posto meno aperto con atteggiamenti omofobi anche a livello pastorale, sei sfortunato».
Da qui un decalogo elaborato per un cambio di registro nelle singole parrocchie: 1) esaminare il personale modo di porsi verso le persone Lgbt e le loro famiglie; 2) ascoltarle senza giudicare; 3) essere loro vicine; 4) difenderle dagli attacchi omo-transfobici; 5) non ridurle «alla chiamata alla castità che tutti condividiamo in quanto cristiani. Le persone Lgbt sono più della loro vita sessuale»; 6) includerle nei ministeri ecclesiali; 7) riconoscere le loro competenze individuali e apprezzarle; 8) invitarle a fare parte dello staff parrocchiale; 9) promuovere iniziative specifiche che le riguardino.
E, infine, con riferimento soprattutto a ogni singolo sacerdote, «chiedere loro perdono se sono state ferite dagli atteggiamenti omofobici della Chiesa». «Scusati con loro – ha aggiunto –. Puoi scusarti. Certo, non risolve tutto, ma è un inizio».
Come noto, la partecipazione di James Martin al Meeting irlandese era stata fortemente contestata, nelle ultime settimane, dai cattolici tradizionalisti, che avevano raccolto decine di migliaia di firme, per impedire la relazione di chi era stato definito omoeretico da figure nostrane come Costanza Miriano.