Mi son perso qualcosa? Sì, perché le voci secondo le quali la sinistra si sarebbe occupata troppo di diritti civili (perdendo con ciò le elezioni) e avrebbe di conseguenza dimenticato quelli sociali, a partire dagli operai, mi pone questo interrogativo. E cioè, di grazia, tutto questo occuparsi dei diritti dell’individuo e delle varie categorie minoritarie io non l’ho visto, anzi, a me è sembrato sempre il contrario.
È stato forse legalizzato il matrimonio egualitario, omogenitorialità compresa? È stata forse approvata la legge contro gli atti di omotransfobia? E la legalizzazione delle droghe leggere? E la legalizzazione dell’eutanasia, vale a dire il diritto d’ognuno a decidere come e quando morire con dignità? E il riconoscimento del diritto per anziani non autosufficienti e persone con disabilità all’assistenza personale pagata dallo Stato? Ecco, mi si dice, ad esempio, proprio in riferimneto a questo punto dove sta la differenza tra diritti civili e diritti sociali? Nulla di tutto ciò è legge in Italia a differenza del resto dell’Europa occidentale. Quindi, per favore, non si dicano idiozie, comunque sbagliate anche sul piano dei principi!
Ho iniziato la mia militanza politica nei primi anni ’70, quando gli unici interlocutori dei gruppi Lgbti erano i Radicali e i gruppi dell’estrema sinistra extraparlamentare: il Pdup – a cui ero iscritto –, Lotta continua e Avanguardia operaia. Ma la vera fatica era coinvolgere il Pci, che era il più grande partito della sinistra storica. Le prime avvisaglie del rapporto Pci e mondo Lgbt si ebbero nel ’79 con la Lettera di Eurialo e Niso (uno pseudonimo ovviamente) su La città futura (il periodico della Fgci, allora diretto da Ferdinando Adornato), con gli articoli scritti su Rinascita (il mensile teorico del Pci fondato da Palmiro Togliatti) da Eugenio (il grande giornalista de L’Unità, Eugenio Manca, cui va il mio affettuoso ricordo) e Marisa, una lesbica di Modena a capo della Cgil locale, che avrebbe potuto avere una grande carriera politica. Argomenti che potranno essere sempre approfonditi con la lettura del libro di Fabio Giovannini I comunisti e i diversi.
Poi è stata storia: l’incontro tra una delegazione della segreteria del Pci e una dell’Arcigay da me guidata a Botteghe Oscure (l’allora sede del partito a Roma), quello con una delegazione delle parlamentari comuniste al Senato nel 1986 fino finire alle varie candidature Lgbt nel partito sul finire degli anni ’80.
Perché tanta fatica? La cultura storica del movimento comunista non prevedeva i diritti individuali. Ne Il Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx e Frederic Engels si afferma che la classe operaia, liberando se stessa, libera tutta l’umanità. I diritti erano quindi di classe e non individuali. Chi parlava di diritti della persona veniva tacciato di cultura “borghese”, di individualismo (quasi un insulto), di idealismo. In questo contesto, per il Pci i diritti delle persone omosessuali non solo erano una scoperta recente ma erano una mezza rivoluzione culturale, perché implicava l’incontro con la cultura liberale progressista dei diritti di libertà.
Da un certo punto in poi della mia antica militanza politica (più o meno dopo il coming out nei primi anni ’70) ho sostenuto che per la collettività Lgbt era molto più utile Il saggio sulla libertà di John Stuart Mill, la cui lettura consiglio tutt’ora. Scritto nella seconda metà dell’800, esso è antesignano delle moderne battaglie libertarie persino sull’antiproibizionismo. Perché il punto è proprio questo e riguarda l’idea stessa di libertà e democrazia che, a mio parere, si fonda proprio sulle garanzie dei diritti della persona, dell’individuo, di ogni essere umano (e anche di ogni vivente non umano).
Se oggi ci battiamo perché una persona Lgbt possa vivere alla luce del sole senza nascondersi, senza la doppia vita, battendosi per la accettazione sociale dell’omosessualità e dell’identità di genere come normalità, in realtà non facciamo altro che contribuire al diritto universale alla libertà personale. Diritto, questo, che altro non è se non la possibilità di vivere la propria originale esperienza di vita, ciascuno a modo proprio, seguendo il personale stile di vita (il che vale anche per tutti, no?). In Italia manca storicamente un movimento laico liberalprogressista di massa, che faccia propria questa visione del mondo. Che, a mio avviso, è l’essenza delle società moderne e di ogni democrazia. Il diritto alla felicità per ogni persona mi sembra difficilmente contestabile persino dagli epigoni del comunismo d’antan come Marco Rizzo.
Poi ci sono le “riflessioni” sui risultati elettorali e sulla débâcle della sinistra storica: ecco allora spuntare la ricerca del colpevole, del responsabile. È così che i diritti civili salgono sul banco degli imputati, perché la sinistra si sarebbe occupata troppo delle minoranze e avrebbe dimenticato la maggioranza dei sofferenti. Diritti sociali in opposizione ai diritti civili, di cui la sinistra si sarebbe occupata in via esclusiva. Ecco perché mi chiedevo se, per caso, non mi fossi perso qualcosa.
Perché a me non pare proprio che le cose siano andate in questo modo. Mentre le forze progressiste nel mondo hanno garantito l’uguaglianza con le leggi contro l’omotransfobia e il matrimonio egualitario, qui da noi, unici nel panorama delle democrazie occidentali, ciò non è avvenuto se non molto parzialmente. Valutato dal nostro punto di vista, noi viviamo nel Paese con la destra peggiore (quella, cioè, clericale, ipocrita e xenofoba) e con una sinistra, che non ha mai avuto molto coraggio e determinazione: sinistra, diciamo così, prevalentemente cattocomunista.
Persino sulle unioni civili c’è stato bisogno del voto di fiducia, altrimenti non sarebbero passate. Ed è bene ricordare che i “dubbi” su stepchild adoption e omogenitorialità non erano solo dei cattodem. Ma anche di almeno cinque esponenti di spicco del vecchio Pci, che in Senato non avrebbero mai votato per l’articolo 5 della cosiddetta legge Cirinnà.
L’Italia, quindi, è all’ultimo posto in Europa con riferimento alle libertà civili. Gli interventi di coloro che, volendo trovare un comodo capro espiatorio per la débâcle elettorale della sinistra – come Marco Revelli in un’intervista a Il Fatto Quotidiano – , sono quindi sesquipedali stupidaggini. Tali persone dovrebbero invece guardare a ciò che succede nella realtà di ogni giorno come, ad esempio, la vera e propria aggressione verso le persone Lgbt con la fantomatica ideologia gender. Artatamente spacciata , questa, come pensiero unico che la “potente lobby gay” vorrebbe imporre a tutti tramite l’omosessualizzazione della società. Un vero e proprio gombloddo, per usare le parole di Sabina Guzzanti.
Di fronte a questa idiozia una parte della sinistra balbetta soprattutto sul terreno della scuola e dell’educazione alla diversità come valore. Pensiamo a fatti concreti come il tortuoso iter per la regionale della legge contro le discriminazioni in Emilia Romagna, dove una consistente pattuglia di consiglieri cattodem sta di fatto bloccando l’approvazione del testo.
La verità è che esiste un’omofobia strisciante, sempre molto consistente in tutta la politica italiana, compresa una parte della sinistra anche intellettuale, che non ha mai capito che non esiste nessuna contrapposizione in materia di diritti. Non esistono, infatti diritti sociali disgiunti dai diritti civili: gli uni non esistono senza gli altri perché sono trasversali. Per usare l’antico brocardo latino Simul stabunt vel simul cadent. C’è l’operaio gay come l’omosessuale povero o bisognoso di assistenza personale esattamente come nel resto della società. Non ci sono prima e dopo. Non ci sono “problemi più urgenti” o “strutturali che vengono prima e sovrastrutturali” che, guarda un po’, vengono sempre dopo. Non accettiamo la logica delle “priorità”, che ci condanna al rinvio ad aeternum.
Mi viene in mente un episodio di 10 anni fa. Eravamo in riunione alle 21:00 in Parlamento nella sede della Commissione Difesa, quando una persona importante disse che un operaio ci aveva mandato una lettera, muovendo l’accusa di esserci occupati solo di “froci e drogati”. Nel 2007 c’era stato un pessimo risultato alle amministrative e in quella sede condividevano, in tanti, l’analisi dell’operaio di Piombino. Mi dimisi subito dal gruppo e passai con La rosa nel pugno, che in materia la pensava in tutt’altro modo.
La storia quindi tende a ripetersi. Ma, come diceva Marx, prima in forma di tragedia, poi di farsa. Rimandiamo quindi al mittente l’accusa di una sinistra che si è occupata troppo dei “marginali”, perché è vero esattamente il contrario. Non vorrei sbagliare ma il primo segretario di un grande partito della sinistra, che ha partecipato a un Pride, è stato Maurizio Martina del Pd proprio quest’anno.
E a proposito di Pride vorrei dire ai vari Rizzo e Revelli di turno che, se avessero partecipato a uno soltanto dei 30 Pride di quest’anno, avrebbero potuto vedere cos’è una grande manifestazione di popolo. Quella che la sinistra non riesce più a fare: con migliaia di giovani e giovanissimi che non si vedono in nessun’altra manifestazione politica. Mezzo milione, forse anche il doppio, tutti assieme, a marciare sotto il solleone, sfidando il caldo torrido per difendere e richiedere quei diritti che sono sì Lgbt, ma in realtà, di tutti.
Al punto che, persino il truce padano, ha dovuto parlarne prima il 9 giugno con riferimento al Roma Pride e poi sul “sacro” suolo di Pontida – a modo suo ovviamente – brandendo il rosario. Dall’alto dell’0,32% delle ultime elezioni politiche (addirittura preceduto da Afinolfi, che ha conseguito intorno allo 0,70%) Rizzo almeno può portare rispetto a questo gigantesco popolo?
La maggioranza si garantisce in quanto maggioranza: una democrazia, quindi, si misura sui diritti garantiti alle minoranze. E purtroppo da questo punto di vista l’Italia non è certamente al primo posto. In questo momento la democrazia italiana è in pericolo? Lasciamo la domanda in sospeso.
Ma, a ogni buon conto, non c’è dubbio che il movimento Lgbt – quello che porta in piazza in Italia centinaia di migliaia di persone (repetita iuvant) e che arriva a decine di milioni in tutto il mondo (2 milioni solo al Pride di San Paolo del Brasile) laddove esiste la libertà di manifestazione – è un presidio per la laicità dello Stato e della democrazia.
La nostra collettività è un bene comune, piaccia o non piaccia ai marxisti di un tempo (a proposito, Marx diceva di non essere marxista). Noi abbiamo fatto la rivoluzione, che è stata gentile e non violenta, e abbiamo cambiato il mondo e la storia per sempre.