Ho incontrato Lindsay Kemp a Napoli, per intervistarlo, nel marzo del 2016, nei giorni in cui il coreografo e ballerino inglese era in città per esibirsi in uno dei suoi assoli di maggior successo, Il volo dell’Angelo che, per l’occasione, avrebbe eseguito sulla scalinata monumentale della chiesa di San Francesco di Paola in Piazza Plebiscito.
Da ragazzo, avevo amato lo spirito iconoclasta e anticonformista di Lindsay Kemp. La mia formazione estetica e culturale, inoltre, era stata particolarmente influenzata da uno dei suoi capolavori, Flowers, ispirato all’opera Nostra Signora dei Fiori di Jean Genet.
La sua capacità di infrangere schemi identitari, ribaltare i ruoli di genere e rappresentare il volo dell’amore universale – perché Kemp volava, non ballava – hanno reso quest’artista un antesignano delle rivendicazioni Lgbti e i modelli culturali a cui legava la sua arte, da Wilde a Jarman, da Ken Russell a Garcia Lorca e allo stesso Genet, erano modelli ideali per demolire pregiudizi e luoghi comuni.
D’altro canto, la realizzazione dei concerti The Rise and Fall of Ziggy Stardust e The spiders from Mars del suo allievo e amante David Bowie costituisce un atto rivoluzionario non solo nella storia della musica rock. Ma nella stessa narrazione dei nostri desideri e delle nostre identità, poiché Ziggy era una rockstar aliena e pansessuale, inviata sulla Terra per diffondere un messaggio d’amore e di felicità.
Mi piace ricordare questo maestro indiscusso del teatro degli ultimi sessant’anni, recuperando la risposta che mi diede quando gli chiesi qual è il ruolo dell’arte nel contrastare i pregiudizi e costruire un mondo migliore. Lindsay Kemp, infatti, non ebbe dubbi nel rispondermi che il proposito dell’arte è liberare il popolo: «Abbiamo la grande responsabilità di liberare la gente. La mia arte – mi confidò Kemp – ha lo stesso scopo che hanno le organizzazioni come Arcigay: aiutare le persone a sentirsi libere. Libere da loro stesse e libere dai condizionamenti dei regimi. Quello per cui siamo qui, quello per cui lavoriamo, è la possibilità di rendere questo mondo, un mondo migliore».
Stride, infine, rileggere proprio in questi giorni il giudizio che Lindsay Kemp mi rilasciò circa l’Italia, paese che aveva sempre amato e che negli ultimi anni aveva scelto come luogo per vivere e lavorare: «L’Italia non è ancora un Paese libero e aperto, però è un Paese gentile e mi fa piacere constatare come si sta aprendo ai rifugiati a differenza di altri Paesi. L’Italia è un Paese umano».
Ovviamente, nel marzo del 2016, nessun ministro italiano aveva posto sotto sequestro per giorni una nave con 177 migranti, mettendone a repentaglio la vita e alimentando odio e violenza. Ma questo, chiaramente, è un altro discorso.