È stata capace di tornare a parlare di dittature delle minoranze con riferimento alle persone omosessuali (insieme – e sembrerebbe un ossimoro – con quelle musulmane) e del Circolo di Cultura omosessuale Mario Mieli, quale destinatario di un “fiume di denaro pubblico” pur essendo intitolato a un “suicida” e a un “pedofilo”, anche nel corso di una trasmissione dedicata alla manovra di bilancio.
Una vera e propria ossessione, dunque, quella che affligge Silvana De Mari nei confronti della collettività rainbow, il cui fine (secondo le tesi à la page del complottismo omosessualista) sarebbe quello di “gaizzare” ogni realtà e imporre le proprie vedute sì da sovvertire i tradizionali modelli valoriali, familiari, societari.
A stupire non sono le ennesime dichiarazioni discriminatorie e offensive nei riguardi delle persone Lgbti. L’endoscopista d’origine casertana, ma torinese d’adozione, è infatti fin troppa nota per i suoi interessi di cattivo gusto nonché antiscientifici su ciò che attiene all’area anorettale tanto da poter essere chiamata Doctrix culi. Non per niente è stata rinviata a giudizio per diffamazione aggravata e continuata a mezzo stampa in ben due processi a suo carico: l’uno contro le persone Lgbti a nome del Coordinamento Torino Pride, l’altro contro il Circolo di Cultura omosessuale Mario Mieli.
A stupire, invece, è stata la partecipazione di Silvana De Mari alla puntata di Otto e Mezzo che, andata in onda ieri sera e intitolata I conti non tornano, è stata incentrata sulla manovra di bilancio. Stupisce in riferimento al tema trattato, perché non si comprendono quali siano le competenze di De Mari al riguardo. Stupisce, soprattutto, in riferimento all’omofobia conclamata della medica, di cui si è sopra parlato. E infatti, come volevasi dimostare, Silvana De Mari è riuscita con le magiche parole “dittatura delle minoranze” a spostare rapidamente l’attenzione laddove desiderava.
È vero che i tre ospiti in studio, Giovanni Floris, Aldo Cazzullo e Paolo Giordano, hanno tacitato con validi argomenti e ridicolizzato la collaboratrice de La Verità. Ma resta pur sempre difficilmente accettabile l’avere dato alla stessa occasione di parlare in una trasmissione in prima serata e così seguita come Otto e Mezzo. In un momento politico così complesso e difficile, in cui si assiste a un’escalation di violenza verbale e fisica a danno delle persone Lgbti nonché di appartenenti alle varie minoranze, dare spazio a Silvana De Mari significa aumentarne la visibilità e contribuire ad alimentare un clima omotransfobico tra ascoltatori e ascoltatrici meno attente. Di cui sinceramente ne faremmo proprio a meno.
Conoscendo il personaggio De Mari – ed è difficile credere che una giornalista di vaglia come Lilli Gruber non ne fosse al corrente –, un ulteriore sbaglio è stato il non aver invitato in studio qualche esperto del pensiero e degli scritti di Mario Mieli. Lo avrebbe richiesto il contesto visto che, come da copione, Silvana De Mari ha poi sciorinato a memoria il ben noto passo degli Elementi di critica omosessuale, per inferirne ancora una volta che Mario Mieli era pedofilo e per ribadire con supponenza: «Questa è la verità». Affermazione, cui tanto Gruber quanto gli ospiti sono stati incapaci di controbbattere non avendo strumenti cognitivi al riguardo.
Al di là della corretta o meno valutazione del passo a interessare veramente è stato l’attacco al Circolo di Cultura omosessuale Mario Mieli sulla linea di quanto già dichiarato al quotidiano adinolfiano La Croce il 13 gennaio 2017: «I pedofili si chiamano ‘map’, persone attratte da minori. Il circolo Lgbt di Roma è intitolato a Mario Mieli, cantore di pedofilia, necrofilia e coprofagia. Posso assumere che tutti gli iscritti provino simpatia per queste pratiche? O che almeno non ne provino nausea? Posso? E così tutto diventa lecito in quanto non è patologico, non è una malattia. Capite che cosa sta accadendo oggi nell’indifferenza quasi generale?».
Un modo di argomentare, questo, che fa acqua da tutte le parti perché l’aver intitolato un’associazione a una figura storica del movimento contemporaneo di liberazione sessuale quale Mario Mieli (volendo ipoteticamente ammettere una valutazione letteralista ed estrapolata dal contesto dell’incriminato passo dell’intellettuale milanese) non comporta affatto il ritenerne pensiero, scritti, vita quali interamente infallibili e indefettibili. Né tantomeno come interamente validi per i tempi attuali.
D’altra parte, secondo il ragionamento di Silvana De Mari bisognerebbe, ad esempio, chiedere la cancellazione di odonimi riferentesi al cardinale Giovan Battista De Luca e chiederne la rimozione della statua dal Palazzaccio, visto che l’esimio giurista nel suo Dottor volgare ebbe a parlare in termini difensivi di «quello stimolo, ovvero istinto naturale, il quale si suol dare verso i giovanetti di bello aspetto».
Oppure bisognerebbe, ad esempio, deprecare l’intitolazione di associazioni e scuole a un Ugo Foscolo che con le Ultime lettere di Jacopo Ortis fu cantore, sulle orme di Alfieri, del suicidio come vera manifestazione dell’ultima libertà. Già, perché Silvana De Mari non ha potuto esimersi dal ricordare che Mieli morì suicida nel tratteggiarne a tinte fosche il profilo.
Insomma, una serie di errori che non ci saremmo aspettati nel corso di una trasmissine di qualità come Otto e mezzo.
D’altra parte appare parimenti erronea la valutazione di chi, ex post, sostiene che Silvana De Mari non abbia diritto, in generale, a esprimere le sue opinioni. È un clamoroso autogol da parte di militanti Lgbti. Con un tale argomento (di fondo comprensibile perché dettato dall’esasperazione nel vedere le violenze omotransfobiche pressoché sdoganate), non si fa che alimentare quella che Adolfo Omodeo chiamava “la querula retorica vittimale dei clericali”. Della quale, anche, faremmo volentieri a meno.