Si è conclusa oggi a Bruxelles la 22° conferenza annuale di Ilga-Europe (International Lesbian and Gay Association), intitolata Politics 4 Change.
Sul tavolo anche importanti riforme statutarie per un organismo ormai storico e punto di riferimento delle più importanti associazioni Lgbti europee. Dall’Italia erano presenti Certi Diritti, Arcigay Palermo, Arcigay Varese, Arco (Associazione Ricreativa Circoli Omosessuali), Gaycs, Cild (Coalizione Italiana Diritti e Libertà), Circolo Tondelli di Bassano del Grappa. Di queste, Arcigay Palermo e Gaycs hanno anche dato un contributo ai workshop tematici, rispettivamente su prevenzione e sport.
Abbiamo rivolto alcune domande a Yuri Guaiana, componente italiano del board di Ilga-Europe, che è stao riconfermato nel ruolo di co-segretario.
Nei tempi di populismo reazionario Bruxelles sembra essere una roccaforte dei diritti. Come mai questa scelta da parte di Ilga-Europe? È davvero così o c’è bisogno di riflettere anche nell’Europa occidentale su risultati e strategie?
È l’assemblea annuale di Ilga-Europe a scegliere di anno in anno la sede delle future conference. Due anni fa Bruxelles è stata votata a maggioranza dai delegati e dalle delegate. Nonostante l’Europa occidentale sia uno degli angoli del mondo più avanzati in termini di diritti Lgbti, ci sono diverse questioni che si pongono, come ad esempio quelle relative alle mutilazioni dei bambini e delle bambine intersessuali.
Solo Malta ha una legge che vieta simili interventi di vera e propria mutilazione, che non vanno considerati solo in funzione delle persone che li subiscono ma in base al loro portato di pregiudizio e binarismo di genere. Portato che investe nello specifico la classe medica, ma che va considerato anche nel quadro dell’opinione pubblica. Tenere alta l’asticella delle rivendicazioni è sicuramente uno modo per prepararci all’urto dell’ondata populista alle prossime europee.
Quali sono stati secondo te i temi più innovativi di questa edizione?
Il programma è stato molto ricco e non sono mancati i temi ormai cari a Ilga-Europe, dal dialogo tra le fedi al sex working. Probabilmente i workshop più innovativi hanno riguardato il rapporto tra movimento Lgbti e mondo del business, con una riflessione sul come trarre vantaggio da esso senza che si verifichi solo il contrario. Poi il tema del digitale, in merito alla sicurezza e ai rischi delle app, ad esempio, ma anche alle opportunità che esse offrono per le campagne e l’attivismo.
Non è stato da meno il dibattito sulla libertà di movimento in Eurpopa per le famiglie omosessuali, specie in ottica delle elezioni europee.
Quali sono i principali punti di distanza con il dibattito italiano sui temi Lgbti?
Rispetto alle organizzazioni europee, l’Italia si sta concentrando maggiormente sul tema delle famiglie omogenitoriali piuttosto che sui temi dell’intersessualità e del transgenderismo. Per il resto l’Italia è inserita nelle principali tematiche di discussione, anche se il dibattito sulle diverse intersezionalità, ovvero la sovrapposizione di più elementi di rivendicazione e di lotta alll’interno della società, risulti molto più sviluppato in Europa. Infine, va detto che le tensioni tra le diverse identità in cui si riconoscono le attiviste e gli attivisti Lgbti, si stanno facendo sentire anche in Ilga-Europe, ad esempio nel dibattito sulle quote.
A questo proposito, cosa è cambiato in Ilga con le ultime modifiche statutarie?
Dopo la richiesta di Tgeu (la principale organizzazione europea di realtà transgender) si era arrivati, attraverso un ampio dibattito interno, a una proposta di modifica statutaria da parte del board che eliminasse tutte le quote nel direttivo, che fino ad oggi erano state, per un totale di 10 componenti, 4 donne, 4 uomini (compresi uomini e donne trans) e due persone che non si identificassero nè come uomini nè come donne, in particolare non binary e agender.
Le femministe del sindacato inglese Unison sono riuscite a far cadere la proposta di abolizione di tutte le quote, facendo mancare il 75% dei voti e hanno poi presentato un emendamento che eliminava solo le quote maschili. Pur di andare nella direzione di una riduzione delle quote, iniziando almeno un percorso, il board si è espresso a favore della proposta, preferendo una situazione in cui solo 4 posti risultano “riservati” anziché 8 come nella situazione precedente. L’emendamento è quindi passato.
La battaglia vera resta, a mio avviso, quella di poter finalmente avere una competizione di merito tra persone, senza alcuna pregiudiziale sull’identità di genere. Lo dimostra anche il trend dell’elezione delle cariche di Ilga-Europe negli ultimi anni, in cui sono state elette più donne rispetto agli uomini nonostante ci fosse una percentuale di uomini candidati di uno o due punti più alta. I tempi sono maturi affichè ci possa essere una vera eguaglianza nelle opportunità.
Secondo te le associazioni italiane dovrebbero lavorare di più sul panorama europeo?
Da presidente di un’associazione transnazionale come Certi Diritti posso solo rispondere in modo assolutamente affermativo. Lavorare in Europa significa per il nostro movimento poter formare i propri attivisti e attiviste, poter imparare strategie e buone pratiche, poter aquisire contatti e strumenti validi sul territorio e a livello nazionale. Basti pensare anche alle unioni civili. Uno degli eventi fondamentali che ha aperto la strada al dibattito sulla legge Cirinnà è stata la sentenza della Cedu che condannava l’Italia per l’assenza di riconoscimento delle coppie same sex: una sentenza che è stata anche il risultato del lavoro sul piano internazionale di Certi Diritti insieme all’avvocato Schuster.
Ci sono quindi moltissime opportunità da cogliere ed è sicuramente auspicabile una presenza più corposa dell’Italia all’interno di Ilga-Europe.
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