Il presidente della Tanzania John Magufuli ha dichiarato di preferire il supporto della Cina, poiché Pechino impone meno condizioni rispetto agli altri donatori internazionali.
«La cosa positiva del loro aiuto è che non è legato ad alcuna condizione – ha detto oggi Magufuli parlando alla stampa a margine dell’inaugurazione della nuova biblioteca dell’Università di Dar es Salaam, finanziata dal governo cinese –. Quando decidono di darti assistenza, te la danno semplicemente».
Parole che appaiono come una risposta inequivocabile agli Stati occidentali donatori che, nelle ultime settimane, hanno fatto sempre più pressioni sulle autorità tanzaniane per la palese violazione dei diritti umani nel Paese e, in particolare, per la campagna persecutoria di Paul Makonda, governatore di Dar es Salam, nei riguardi delle persone Lgbti.
Oltre ai moniti di Michelle Bachelet, Alta Commissaria delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo, e Federica Mogherini, Alta Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, bisogna ricordare come, all’inizio di novembre, il governo della Danimarca abbia congelato i suoi finanziamenti per 63.000.000 di corone danesi alla Tanzania proprio a motivo dei proclami omofobi di Makonda.
Poco prima l’Unione europea aveva avviato una revisione completa delle sue politiche nei confronti dello Stato dell’Africa Sud-orientale per le ripetute violazioni dei diritti umani, richiamando dal Paese il capo della delegazione Ue Roeland van de Geer.
Non bisogna infine dimenticare come, a seguito delle dichiarazioni di Makonda in data 29 ottobre, il Dipartimento di Stato Usa avesse subito avvertito i cittadini statunitensi che vivono in Tanzania di «esercitare cautela rimuovendo o evitando immagini e linguaggi che possano incorrere nelle leggi tanzaniane riguardanti i rapporti omosessuali e l’esplicita attività sessuale».
In Tanzania, infatti, i rapporti tra persone dello stesso sesso sono punibili fino a 30 anni di carcere.