Il tema dell’omosessualità nel clero e nella vita religiosa torna a essere al centro delle dichiarazioni di Bergoglio.
Nel libro intervista La fuerza de la vocación. La vida consagrada hoy, che, curato dal sacerdote claretiano Fernando Prado e pubblicato in dieci lingue (in Italia comparirà per i tipi bolognesi delle Dehoniane), sarà in vendita nelle librerie a partire dal 3 dicembre, papa Francesco ritiene la questione «qualcosa che mi preoccupa», per la quale occorre più attenzione in riferimento ai candidati nei seminari e nelle case religiose.
Ribadendo le nuove direttive in materia di formazione risalenti a Benedetto XVI (anche se sembra che il pontefice tenda a dimenticare la recenziorità di tali posizioni magisteriali-disciplinari), dichiara infine che le persone omosessuali devono essere esortate a «vivere pienamente il celibato» e a lasciare il ministero «piuttosto che vivere una doppia vita».
Ecco in anteprima la domanda specifica e la relativa risposta di Francesco come appariranno nel libro.
Non è un segreto come nella vita consacrata e nel clero ci siano anche persone con tendenze omosessuali. Cosa dire di questo?
È qualcosa che mi preoccupa, perché forse a un certo punto non è stata ben affrontata. In linea con ciò di cui stiamo parlando, direi che dobbiamo curare molto la maturità umana e affettiva.
Dobbiamo discernere con serietà e ascoltare la voce dell’esperienza che anche la Chiesa possiede. Quando il discernimento non è curato al riguardo, i problemi crescono. Come ho detto prima, succede che al momento forse non mostrano i loro volti, ma in seguito appaiono per quello che sono.
La questione dell’omosessualità è una questione molto seria che deve essere oggetto di corretto discernimento fin dall’inizio, se è il caso, con i candidati. Dobbiamo essere esigenti. Nelle nostre società sembra addirittura che l’omosessualità sia di moda e che questa mentalità influisca, in qualche modo, anche sulla vita della Chiesa.
Ho incontrato qui un vescovo un po’ scandalizzato che mi ha detto d’aver appreso che nella sua diocesi, una diocesi molto grande, c’erano diversi preti omosessuali e che doveva affrontare tutto questo, intervenendo, prima di tutto, sulla formazione per formare un altro clero distinto. È una realtà che non possiamo negare.
Non mancano casi nella vita consacrata. Un religioso mi ha detto d’essere rimasto sorpreso durante la visita canonica a una delle province della sua congregazione. Vide che c’erano dei buoni giovani studenti e che persino alcuni religiosi già professi erano gay.
Lui stesso aveva dubbi sulla questione e mi ha chiesto se ci fosse qualcosa di sbagliato in ciò. «In fondo – diceva – non è così grave: è solo un’espressione di affetto». Questo è un errore. Non è solo un’espressione di affetto. Nella vita consacrata e nella vita sacerdotale non c’è posto per questo tipo di affetti.
Per questo motivo, la Chiesa raccomanda che le persone con tale tendenza radicata non siano ammesse al ministero o alla vita consacrata. Il ministero o la vita consacrata non sono il loro posto.
I sacerdoti, i religiosi e le religiose omosessuali devono essere esortati a vivere pienamente il celibato e, soprattutto, a essere squisitamente responsabili, cercando di non scandalizzare né le loro comunità né il santo popolo fedele di Dio vivendo una doppia vita. È meglio che lascino il ministero o la loro vita consacrata piuttosto che vivere una doppia vita.