Classe 1986, laureata in Studi Internazionali e forte d’esperienze lavorative all’estero (parla correntemente francese e inglese), Giulia Bodo è presidente del comitato Arcigay Rainbow Vercelli Valsesia.
Il suo impegno attivistico, in una zona territoriale a forte impronta leghista, si è soprattutto indirizzato all’accoglienza di persone migranti Lgbti. Motivo che l’ha portata a creare, con la collaborazione dell’intero comitato, il gruppo AfricArcigay.
A pochi giorni dall’approvazione in via definitiva del contestato “decreto sicurezza”, che, fortemente voluto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, restringe le possibilità di accoglienza di persone migranti e introduce una serie di nuove norme in materia securitaria, l’abbiamo raggiunta per raccoglierne esperienze e impressioni.
Giulia, da cosa nasce il tuo impegno per le persone migranti?
Credo dalla mia educazione: sono cresciuta difendendo gli ultimi. Il mio impegno politico è sempre stato di stampo radicale. Ai miei genitori devo l’apertura nei confronti di tutte le differenze e l’empatia verso chi non riesce a far sentire la propria voce. Nel 2015 ho deciso, nel mio tempo libero, di cominciare a insegnare italiano nei centri di accoglienza.
Essendo anche un’attivista in Arcigay, dal momento in cui si è presentata la questione dei migranti Lgbti, è sembrato piuttosto naturale per il mio Comitato che a occuparmene fossi io. Anche per via delle mie competenze soprattutto linguistiche ma anche politiche, sociali e giuridiche.
Quali le attività specifiche da te messe in atto in Arcigay Vercelli?
Innanzitutto siamo un gruppo: quindi direi noi e non io. Da sola non avrei combinato proprio niente. A Vercelli è nata una comunità di riferimento per richiedenti asilo Lgbti africani e africane. Gruppo che, nel settembre 2016, abbiamo ribattezzato appunto AfricArcigay su suggerimento dell’amico attivista e giornalista Paolo Hutter. Paolo, insieme con il marito Paolo Oddi, ha fin dall’inizio creduto nel nostro progetto.
Le persone Lgbti africane ci raggiungono dal Piemonte, dalla Lombardia. Qualcuno anche dalla Valle d’Aosta o dalla Liguria. Ciò che trovano non è uno sportello di assistenza legale per la richiesta d’asilo o il servizio di insegnamento dell’italiano ma un gruppo di pari, pronti ad accoglierli e a rassicurarli. Si scambiano paure ed esperienze, si sostengono e incoraggiano a vicenda.
È stata una coppia di nigeriani a esprimere il desiderio di fare di più, dicendomi: “Una volta ottenuti i documenti, i nostri problemi in quanto gay e africani, in questo Paese, non sono finiti”.
La nostra forza è stata quella di supportarli e supportarle in questo percorso, formandoli e formandole, e lasciandoci guidare dai più istruiti e dalle più istruite rispetto alle differenze culturali.
Ci occupiamo, con le due donsigliere Stefania Sanna e Luna Iemmola e, più recentemente, anche con l’attivista di Agedo Torino (referente a Novara) Roberta Bagnasco, di formazioni per operatori dell’accoglienza e delle preparazioni per il colloquio in Commissione per la richiesta d’asilo, nonché dello sviluppo della stessa (relazioni per i ricorsi in appello, richieste d’asilo reiterate, eccetera). Ci teniamo a seguire solo i casi in cui crediamo: i componenti del gruppo AfricArcigay si aspettano chiaramente di essere protetti da attacchi omofobici da parte di connazionali.
Siamo orgogliosi e orgogliose di essere il secondo comitato, dopo Reggio Emilia con l’amico Tony Andrew, ad aver eletto un africano rifugiato all’interno del nostro direttivo: Omokhegbe Kennedy, nigeriano già ritenuto meritevole della protezione internazionale, è infatti un punto di riferimento per quanto riguarda le formazioni destinate agli ospiti dei centri di accoglienza ma anche per i primi colloqui di introduzione al gruppo dei nuovi arrivati.
Senza dimenticare Vivian Igbinovia, ancora in attesa del colloquio in commissione, è diventata un elemento chiave per le ragazze. A oggi abbiamo seguito quasi un centinaio di casi e contiamo una quarantina di attivisti ed attiviste partecipi in maniera assidua e concreta. Dal punto di vista delle formazioni, l’aspetto più sconvolgente è rappresentato dall’assistere africani che insegnano il rispetto delle diversità ai propri fratelli e sorelle eterosessuali, cresciuti secondo i principi di una cultura che perpetra odio e repressione, soprattutto di matrice religiosa.
Tu non sei omosessuale eppure fai attivismo in Arcigay. Perché a tuo parere le associazioni Lgbti devono interessarsi di diritti delle persone migranti? Che cosa dovrebbero fare nello specifico?
Mi viene in mente Pride, il film tratto dalla vera storia della conquista dei diritti civili a Londra. L’unica lotta possibile, oggi, è quella intersezionale: dovremmo unire la forza delle minoranze, con le intrinseche differenze che le compongono. Stranieri, comunità Lgbtqia+, donne, disabili, disoccupati: nessuno di noi è una cosa sola. Ecco perché da eterosessuale scelgo ogni giorno di sentirmi parte e di rappresentare la comunità Lgbti sul mio territorio: se invece di continuare a discriminarci a vicenda riuscissimo a fare fronte comune, credo che renderemmo la vita difficile adomofobia, razzismo, trasfobia, bifobia, lesbofobia, sessismo, abilismo e classismo.
Nello specifico, ritengo innanzitutto che bisognerebbe essere molto chiari dal punto di vista della linea politica dell’associazione: il razzismo dovrebbe essere pubblicamente e fermamente condannato, ad ogni occasione utile.
In secondo luogo, gli elementi più significativi da sviluppare (anche grazie alla rete Migranet di Arcigay ma potenziando le connessioni con le altre associazioni italiane che si occupano di migranti Lgbti e quelle a livello internazionale) credo dovrebbero essere l’accoglienza e la formazione. Migranti appena sbarcati non parteciperanno ai nostri eventi e alle nostre riunioni, perché hanno troppi pochi strumenti, linguistici e culturali, per capire questi momenti aggregativi e per viverli liberamente, consapevolmente.
Sulla base della tua esperienza locale hai conosciuto casi di persone Lgbti che sono dovute fuggire perché omosessuali?
Nei centri di accoglienza ho sentito memorie di ogni genere. Relativamente ad AfricArcigay, invece, i componenti sono tutti persone che si dichiarano Lgbti e che hanno subito persecuzioni di vario tipo, o sono fuggiti e fuggite per paura di subirne. Il denominatore comune è il bisogno di libertà.
Come valuti il “decreto sicurezza” approvato il 28 novembre scorso?
È già stato valutato incostituzionale dal Consiglio superiore della magistratura, proprio relativamente alla parte riguardante i richiedenti asilo. Non risolve certo il problema di una mancata politica dell’immigrazione unitaria dal punto di vista europeo. Crea, inoltre, immigrati irregolari che quindi si trovano costretti a vivere di espedienti. Con buona pace di Salvini e dei suoi fan non basterebbero tutti i nostri soldi per rimpatriare gli irregolari, anche perché non ci sono gli accordi bilaterali con gli Stati d’origine: l’unica soluzione possibile sarà quella di regolarizzarli.
Il comitato Arcigay Vercelli Valsesia ha realizzato per il 2019 un calendario dedicato al tema dei migranti Lgbti. Com’è nata l’idea?
Il calendario è nato perché siamo poveri. I nostri attivisti ricevono 75€ al mese se sono inseriti nel sistema di accoglienza. Per alcuni di loro raggiungere i nostri eventi e le nostre riunioni diventa economicamente proibitivo a causa della lontananza geografica. Il progetto finora è sopravvissuto grazie alle donazioni.
Ci siamo resi e rese conto di aver bisogno di entrate ulteriori e abbiamo avuto la fortuna di riuscire a costruire una squadra artistica incredibile: il trucco di Stefano Anselmo (il conosciutissimo make up artist di Mina, vercellese d’origine) e delle sue collaboratrici, Enrica Checchia e Nadine Musacchio; le foto della straordinaria Giulia Lungo, amica e compagna di battaglie. E poi i nostri attivisti e attiviste vercellesi: la direzione artistica da parte del professionista Andrea Dolzan, l’artista Franco Marino che si è occupato dei costumi oltre a ricoprire il ruolo di assistente di produzione, insieme a Luna Iemmola e a Vittorio Montixi.
Dietro ogni foto c’è una storia, una vita, una di quelle vite che anche noi abbiamo contributo a salvare. Oppure una denuncia, un grido soffocato di quelli che, da noi, non sono mai arrivati.
Con questo calendario (in omaggio con tutte le donazioni uguali superiori ai 20€) vorremmo da una parte aprire un canale di comunicazione con chi lo guarda. Dall’altra riuscire a creare un fondo di sostentamento per continuare e potenziare la nostra attività di sensibilizzazione sul territorio.
Scopri il Calendario AfricArcigay 2019 mese per mese