Sarà ancora aperta al pubblico fino al 7 dicembre, presso Officine Fotografiche a Roma, la retrospettiva fotografica che Lina Pallotta, da sempre attratta dalla cultura underground e dalle storie di rivalsa e riscatto, ha dedicato all’amica e attivista Porpora Marcasciano, figura di spicco del transfemminismo internazionale e presidente onoraria del Movimento Identità Trans (Mit).
La mostra, che intreccia evocazioni biografico-affettive con le trasformazioni socio-culturali della società contemporanea, è un’occasione importante per riflettere sulla potenza dell’immagine e sul valore dell’esperienza, ora umana e ora artistica, che si realizza nel sodalizio tra due sguardi profondi: quello di Lina Pallotta e quello di Porpora Marcasciano.
Incontriamo Lina Pallotta per avere qualche notizia in più sulla mostra.
Lina, se dovessi restituire, in maniera sintetica, il senso della mostra fotografica su Porpora, cosa ti sentiresti di dire?
È un viaggio personale nella vita di Porpora: una visione, intima, personale e soggettiva. Un tentativo di restituire attraverso questo approccio una visione che restituisca una dimensione umana e complessa a una figura e a un mondo, marginalizzato e stereotipato dalla maggior parte delle immagini che lo rappresentano.
Quanto deve, a tuo parere, l’emancipazione sociale e culturale di questo Paese a Porpora Marcasciano?
Questa è una domanda difficile per me, perché non voglio dire cose imprecise. Le figure che rappresentano il variegato paesaggio dei movimenti possono rispondere in maniera adeguata meglio di me. Personalmente penso che Porpora e tante altre figure e associazioni, hanno determinato un cambiamento profondo e positivo del panorama socio-culturale del nostro Paese. L’attivismo, le lotte hanno cambiato leggi che penalizzavano e ghettizzavano queste categorie. Nonostante ci sia ancora tanto lavoro da fare, il muro di segretezza e paura della mia infanzia è crollato.
Porpora, oltre al suo lavoro di attivismo attraverso il Mit e altre situazioni, ha contribuito con i suoi libri a diffondere verità sul tema e a dare voce e dignità a tante persone che hanno fatto la storia e l’hanno cambiata. Le narrative dal basso sono la fonte a cui Porpora attinge e anche il mio approccio al tema.
Tra gli scatti che sono presenti nell’allestimento, quale credi sia più rappresentativo o a quale sei più affezionata umanamente e artisticamente?
Non ho scatti preferiti e ho difficoltà a scegliere un singolo scatto. Anche la selezione delle immagini presenti nella mostra è stato un processo complicato per me. Lavoro su storie e quindi l’insieme per me è sempre più importante del singolo scatto. Credo nella costruzione di uno spazio visivo dove le persone possano usufruire di una visione ampia e libera di mondi che non sempre conoscono.
Infine, come definiresti la tua fotografia? Che valore credi di poterle attribuire?
La mia fotografia si inserisce all’interno della tradizione documentaristica, personale, soggettiva e intima. Credo che solo la vicinanza e i momenti di intimità possano restituire brandelli di verità difficili da cogliere data la sovraesposizione mediatica del nostro momento storico. Ovviamente è complicato attribuire alla mia fotografia del valori, preferisco lasciare agli altri questo compito. Siamo in tanti ad attribuire al nostro lavoro concetti e virtù che sono solo nella nostra testa! Posso solo sperare che attraverso le mie immagini, le persone sentano il bisogno di rivalutare i loro pregiudizi, di avvicinarsi e cercare informazioni approfondite e specifiche sul tema.
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