Nel giorno di San Valentino 13 coppie omosessuali (cinque di donne e otto di uomini) fanno causa al Governo giapponese per discriminazione rispetto alle omologhe eterosessuali in materia matrimoniale. Chiedono inoltre d’essere risarcite.
Nel ricorso si denuncia la vigente normativa proibente il matrimonio tra persone dello stesso sesso in violazione del principio costituzionale della piena uguglianza “di tutti i cittadini davanti alla legge”. Inoltre l’articolo 24 della Costituzione nipponica non interdice formalmente il same-sex marriage ma semplicemente non lo contempla. Motivo per cui i legali delle 13 coppie sono pronti ad adire alla Corte Suprema.
Non è da dimenticare come, secondo un sondaggio di Dentsu dello scorso ottobre, il 78% della popolazione giapponese, tra i 20 e i 59 anni, sia favorevole al matrimonio egualitario. D’altra parte, la società giapponese è stata, storicamente, sempre abbastanza tollerante nei confronti dell’omosessualità, come dimostra l’enorme documentazione sui samurai che avevano rapporti con uomini. Per non parlare delle numerose raffigurazioni artistiche nelle tradizionali ukiyo-e.
Ma con la piena restaurazione del potere imperiale a opera di Meiji, il Giappone nel 1868, nella misura in cui si apriva alla cultura occidentale (soprattuto quella britannica), industrializzandosi e modernizzandosi, ne accoglieva anche le posizioni dannatorie in materia d’omosessualità.
Al momento il Giappone e l’Italia (anche se nel nostro Paese sono state approvate, l’11 maggio 2016, le unioni civili) restano gli unici due Paesi del G7 a vietare il matrimonio tra persone dello stesso sesso.