L’Uccello Padulo è il nuovo romanzo provocatorio e dissacrante di Giovanni Lucchese, narratore che alterna la sua verve ironica a caustica con la passione per il noir.
In questo romanzo, Lucchese racconta la storia di Billo, un giovane ricco e viziato, erede di una facoltosissima famiglia romana, che trova calore umano e motivazioni esistenziali nel momento in cui, accidentalmente, entra in contatto con una comunità LGBT che abita nel quartiere popolare di San Lorenzo. La scoperta di un mondo fervido di cure e sentimenti trasforma Billo in un’altra persona, facendogli scoprire aspetti del suo carattere e della sua personalità che neppure immaginava di avere. Per saperne di più su L’Uccello Padulo, contattiamo Giovanni Lucchese.
Cos’è l’Uccello Padulo? Cosa “si nasconde” dietro questo titolo apparentemente irriverente?
L’Uccello Padulo è un animale mitologico che vive nel sottobosco e colpisce alle spalle. Proprio come gli eventi che si susseguono nel mio romanzo arrivano all’improvviso per stravolgere la vita di Billo, il protagonista, e cambiarla per sempre.
Il tuo romanzo racconta il cambiamento profondo del protagonista Billo, un rampollo viziato della “Roma bene”, in un uomo più sensibile e “umano”. Credi siano davvero possibili queste trasformazioni? Qual è la molla di un cambiamento così radicale?
Sono possibili come tutto lo è. Purtroppo non avviene frequentemente, non è facile convincere qualcuno che il suo mondo, l’ambiente nel quale è nato e vissuto, possa essere sostituito con una versione migliore di esso. Può avvenire soltanto quando si ha un animo sensibile e privo di pregiudizi, quando si è aperti all’ignoto, a ciò che non fa parte della nostra zona comfort. Di solito avviene quando osserviamo qualcuno agire in modo completamente diverso dal nostro, e lasciamo che le sue azioni ci ispirino gettando luce su quelli che sono i nostri tratti negativi.
Al centro del tuo libro, e del cambiamento di Billo, c’è la comunità LGBT e c’è Mamma Sophie, una donna transessuale che ne è leader. Quanto deve – a tuo parere – l’emancipazione della nostra società al contributo della comunità LGBT?
Deve tutto. la comunità LGBT ha il compito, e anche il dovere, di mostrare alternative alla vita tradizionale che al tempo stesso siano “normali” e perfettamente accettabili. Solo mostrando apertamente la propria “diversità” si può dimostrare che, in fondo, siamo tutti uguali. Il preconcetto nasce dalla paura del diverso e può essere sconfitto soltanto educando le persone e mostrando loro che in fondo così diverso non è. Uscire allo scoperto con naturalezza è una delle chiavi principali per l’emancipazione, prima di educare bisogna mostrare.
Il tuo romanzo racconta anche quanto la famiglia in cui si riscontrano i valori più sani e solidali non sia necessariamente quella tradizionale, che passa per il sangue. Secondo te, che cos’è la famiglia, oggi, nel terzo millennio, in Italia?
Il concetto di famiglia è in perenne lotta per affermare un’evoluzione che spesso gli vuole essere negata. Famiglia significa senza dubbio legami di sangue, questo è innegabile, e spesso può anche essere il luogo sicuro e confortevole che dovrebbe essere. Non ho nulla contro la famiglia tradizionale, purché non si senta in diritto di criticare, o peggio ancora non riconoscere, tutti quei legami che vanno oltre quelli di sangue. Famiglia può voler dire le persone che ci scegliamo durante il nostro cammino, quelle con cui condividiamo ciò che abbiamo dentro, che sono in qualche modo affini a noi. Ma possono anche essere le persone che ci stimolano a crescere, spesso anche con durezza, spingendoci ad andare oltre quelli che pensiamo siano i nostri limiti. Bisogna allargare il concetto di famiglia, soprattutto in questo paese, lasciando che abbracci molte altre realtà che al momento vengono riconosciute con un po’ di fatica.
Hai dedicato questo libro alla Karl du Pignè, scomparsa prematuramente a settembre. Ci offri un tuo personale ricordo di questo importante personaggio della comunità LGBT italiana?
La mia prima volta in un locale Gay, precisamente Muccassassina, l’ho vista di fronte alla porta del locale, vestita da antica egizia, che accoglieva le persone con una verve e un carisma che non avevo mai visto prima. Ho pensato che una persona così fosse impossibile da dimenticare, e così è stato. Ogni volta che l’ho incontrata, anche quando la sua mente sembrava essere altrove, l’ho sempre trovata disponibile e gentile, non risparmiava mai un sorriso o una delle sue battute al vetriolo a nessuno. C’è bisogno di più persone come lei al mondo, soprattutto in Italia.