Torino loves and welcomes all kind of families (“Torino ama e dà il benvenuto a tutti i tipi di famiglia”, ndr). Recita così lo striscione esposto sulla facciata del Palazzo Civico del capoluogo piemontese in concomitanza con l’avvio del World Congress of Families a Verona.
«Da tempo – ha spiegato la sindaca Chiara Appendino – il Comune di Torino ha deciso di mutare la visione di un unico modello di famiglia pensando a quella pluralista, che riconosce come famiglie le realtà sociali che formano la nostra società. Per questo motivo abbiamo deciso oggi, in contemporanea con la conferenza di Verona, di esporre e confermare ancora una volta la visione della Città di Torino. Qui tutte le famiglie sono benvenute. Nessuna esclusa».
Da parte sua Marco Giusta, assessore comunale ai Diritti e alle Politiche familiari, ha rilevato come famiglie siano «persone sole, anziani, zii e nipoti, figli e figlie, nonne e cugine, mariti e mogli, compagni e compagne.
Famiglie sono quelle di nuova costituzione, quelle ricomposte, quelle allargate, quelle che comprendono relazioni anche tra più di due persone, quelle che vorremmo costruire, quelle che sogniamo, gli spazi relazionali che riempiamo di significato. Famiglie sono le coppie omogenitoriali, le loro figlie e figli che la nostra Amministrazione ha deciso di riconoscere, prima in Italia.
Famiglie sono relazioni, lingue, culture, religioni, storie, lavoro, fatica quotidiana, affetto, amore, cura per l’altra o per l’altro. Famiglie è il proprio gatto, il cane, lo spazio confortevole a cui tornare la sera. Ogni persona porta con sé la propria idea di famiglia, il proprio modello, e compito di una istituzione non potrà mai essere quello di escluderne alcuni, peggio ancora ritenerne uno o altro superiori moralmente.
Perché dietro a questa posizione in realtà se ne nascondono altre: la giustificazione alle violenze maschili e di genere, che avvengono soprattutto negli spazi relazionali, la discriminazione verso chi non si adegua ad un modello imposto, l’attacco alle soggettività Lgbti che rifiutano i ruoli sociali culturalmente imposti e non si riconoscono nelle identità prescritte, un razzismo istituzionale, che sdogana quello sociale, che da un lato nega diritti e innalza confini e dall’altro sfrutta il lavoro migrante».