In Corea del Sud i rapporti consensuali tra persone dello stesso sesso non sono mai stati considerati illegali. Anzi l’articolo 31 della legge della Commissione nazionale per i diritti umani, promulgata nel 2001, stabilisce che “nessun individuo può essere discriminato sulla base del proprio orientamento sessuale“.
Ma i rapporti omosessuali, sotto la generica voce di “molestie sessuali”, continuano a essere perseguiti come atti delittuosi sulla base del paragrafo 6 dell’art. 92 (anche conosciuto come Legge militare sulla sodomia) del Codice penale militare, che prevede il congedo con disonore e la carcerazione con lavori forzati fino a un massimo di due anni
Il servizio militare obbligatorio dalla durata biennale è considerato un dovere patriottico in Corea del Sud. Non esistendo obiezione di coscienza, il sottrarvisi può portare a uno stigma duraturo con ripercussioni sullo stato sociale, lavorativo e familiare. Ciò induce persone gay a tacere la propria omosessualità al momento della visita medica previa all’arruolamento. Ma ciò non le mette al riparo dall’occhiuta sorveglianza dopo che hanno iniziato a prestare servizio tra le forze armate.
Nel 2017 è toccato a un ufficiale, oggi 27enne, essere scoperto e accusato di aver avuto, fuori dalla base militare, un rapporto sessuale con un commilitone. Poteva andare incontro a una triplice umiliazione: la condanna penale, il congedo militare con disonore e un coming out forzato presso i genitori, che lo stesso giovane, coperto dall’anonimato, definisce ad Afp “cristiani conservatori e pii”.
L’ufficiale, all’epoca un coscritto, è stato arrestato con altri 21 soldati a seguito di una retata. Come denunciato dal Centro per i diritti umani nell’esercito (Cdha) – un’organizzazione militante di Seoul che accusa l’esercito di impegnarsi in “caccia alle streghe” -, gli inquirenti hanno costretto i “sospettati” a inviare messaggi, in loro presenza, a utenti di app per incontri per stanare altri soldati gay.
12 dei 21 soldati arrestati hanno impugnato il paragrafo 6 dell’art. 92 davanti alla Corte Costituzionale, che, dall’entrata in vigore del Codice penale militare (1962), si è già pronunciata al riguardo tre volte. L’ultima è stata nel 2016 con un verdetto di mantenimento del paragrafo (cinque voti favorevoli e quattro contrari).
Tale sentenza è stata fortemente criticata dalle organizzazioni umanitarie. Mentre Human Rights Watch ha definito il paragrafo “una macchia sul registro dei diritti umani del Paese”, per Amnesty International si tratta di testo “arcaico e discriminatorio”.
L’ex ufficiale anonimo non è tra i 12 soldati che hanno fatto ricorso alla Corte Costituzionale. Ma nel 2018, terminato il biennio di servizio militare, il suo processo è stato trasferito, per ragioni di competenza, a un tribunale civile, che lo ha assolto. È la prima volta che accade in riferimento all’accusa di un soldato ai sensi del paragrafo 6 dell’art. 92. Ovviamente l’Esercito ha fatto appello e ora il giovane sta affrontando il secondo processo, il cui verdetto dovrebbe giungere in contemporanea con quello della Corte Costituzionale.
Continua intanto a nascondere il suo orientamento sessuale a tutti, soprattutto ai genitori e agli amici più cari. “È come – ha dichiarato sempre ad Afp – se la mia intera esistenza fosse negata“.