Un’«esperienza da incubo» quella vissuta in Egitto. La definisce così a telefono Valentina Viglione, donna transgender napoletana, che dopo 22 anni di vacanze tranquille trascorse a Sharm el-Sheikh ha deciso di non metterci mai più piede.
L’11 aprile Valentina, che, laureata in giurisprudenza nel 1997, ha alle spalle un’esperienza triennale d’avvocatura, si è imbarcata in serata a Capodichino con un amico gioielliere per raggiungere la nota località marina egiziana. Ma, giunta all’aeroporto internazionale di Sharm con tre ore e mezza di ritardo, è successo quanto mai avrebbe immaginato.
«Siamo arrivati a mezzanotte e un quarto – racconta al telefono -. Al momento di fare in aeroporto i consueti controlli presso le autorità egiziane di frontiera un addetto ha preso il mio passaporto, sul quale sono registrata col nome maschile e con la mia foto di donna, e si è allontanato. La cosa mi ha fatto subito impensierire, perché in 22 anni non mi era mai capitato. Dopo 20 minuti di attesa ho cercato di chiedere a un poliziotto che cosa succedesse. Ma sono stata allontanata in malo modo con un gesto di mano, mentre mi veniva intimato di aspettare. Io e il mio amico abbiamo atteso un’ora e dieci».
A quel punto è sopraggiunto l’autista del resort Domina Coral Bay, dove Valentina e il suo compagno di viaggio avevano prenotato il soggiorno.
«Gli ho detto d’informarsi – mi spiega – che cosa stesse succedendo. Lui stesso era meravigliato: mi conosce infatti bene poiché sono anni che vado al Domina. Ha bussato alla porta dell’ufficio preposto. Ma è stato prima allontanato in malo modo, poi richiamato. A quel punto i poliziotti gli hanno fatto alcune domande: se ero operata e se ero fidanzata o sposata con l’uomo che mi accompagnava».
All’uscita l’autista ha cercato di tranquillare Valentina col dirle che era una mera questione burocratica. Ma, quando l’agente le ha riconsegnato il passaporto, per comunicare che il permesso di soggiorno era stato accettato, la donna, stremata anche dall’attesa prolungata e dalla paura, ha gridato che non voleva restare ma rientrare in Italia.
«So di aver agito d’impulso ma a quel punto è iniziato l’incubo. L’agente mi ha strappato di mano il passaporto e ci ha fatto ripassare la dogana. A quel punto è sopraggiunta una camionetta con quattro poliziotti, che ci ha caricato a bordo. Ho cercato di chiedere dove ci stessero portando ma un agente mi ha intimato di stare zitta. Abbiamo fatto circa un km di strada al buio e siamo arrivati al terminal 2: un terminal dismesso, corrispondente alla vecchia area aeroportuale, trasformato in uffici della polizia.
Giunti sul luogo, i poliziotti ci hanno entrare nella struttura: abbiamo fatto una rampa di scale e siamo stati rinchiusi in mezzo quadrato di stanza, divisi l’una dall’altro da un separé. Siamo rimasti lì fino alle 9:30 del mattino. Non potevamo andare in bagno o fumare se non dopo aver chiesto il permesso. Abbiamo temuto il peggio».
Poi alle 9:30 l’annuncio che sarebbero stati rimpatriati col primo volo disponibile per Napoli, quello delle 14:40.
«Ci sono venuti a riprendere – continua Valentina – con la camionetta. In aeroporto hanno voluto rifare i controlli e abbiamo dovuto subire l’umiliazione di essere scortati da un agente armato fino al gate sotto gli occhi di tutti, soprattutto di passeggeri napoletani. E, per giunta, senza neppure la possibilità di poter andare in bagno».
Quel giorno stesso la sorella di Valentina, anche lei di casa a Sharm el-Sheik («ci va da 39 anni – spiega a telefono – e per alcuni ha posseduto anche una casa in loco, prima di venderla»), aveva un volo prenotato per la località egiziana. Ma alla luce di quanto successo non voleva più partire.
«L’ho tranquillizzata e le ho detto di andare, avendo lei speso un’enorme somma di denaro. Ho anche aggiunto che mi sarei informata presso l’ambasciata se ci fosse qualcosa a mio carico e, in caso contrario, l’avrei raggiunta».
Avute rassicurazioni al riguardo tramite il suo avvocato e un amico egiziano Samer, che, sposato con una napoletana, gestisce a Sharm il ristorante Made in Sud, l’altroieri Valentina ha deciso di ripartire. Ma, giunta in aeroporto, ha rivissuto, questa volta da sola, la stessa drammatica esperienza, benché non avesse minimamente reagito.
È stata nuovamente fatta salire sulla camionetta tra gli sberleffi e le risate degli agenti, che si toccavano ripetutamente le parti intime. Quindi condotta al terminal 2, dove è stata costretta a portare da sola lungo una rampa di scala le sue valigie. Cosa che le ha procurato la frattura di un dito. Ma, poi, alle 04:00 del mattino, rimpatriata in tutta fretta con un volo per Bologna mentre in aeroporto era sopraggiunto il console italiano dietro segnalazione della Domina.
Quanto successo a Valentina è da inquadrarsi nel quadro più ampio delle vessazioni che le persone Lgbti subiscono da alcuni anni in Egitto, dove, ad esempio, il 7 marzo la 19enne transgender Malak al-Kashif è stata arrestata, condotta in un carcere maschile e sottoposta a test anale forzato.
Dura condanna dell’accaduto è stato espresso da Loredana Rossi, fondatrice e vicepresidente di Atn, di cui Valentina è socia: «È inaccettabile quello che è successo. A nome di tutta Atn esprimo solidarietà e vicinanza a Valentina.
Voglio ricordare, come ha rilevato ultimamente l’Ilga, che, pur non essendoci delle chiare leggi al riguardo, l’Egitto è un Paese dove di fatto l’omosessualità e la transessualità sono punite come reato. Chiediamo pertanto al Governo di mobilitarsi seriamente presso le autorità locali perché facciano chiarezza.
Nel frattempo invitiamo le agenzie di viaggio a informare debitamente le persone Lgbti, che si recano in Paesi dove corrono seri pericoli per leggi omotransfobiche. Perché quello che è successo a Valentina non si ripeta per altre».