Edito per i tipi sestesi della Meltemi nella collana Culture Radicali e disponibile nelle librerie dal 18 aprile, Comunismo queer. Note per una sovversione dell’eterosessualità raccoglie in 298 pagine la summa del pensiero di un filosofo geniale e controcorrente qual è Federico Zappino.
Traduttore di vari saggi di Judith Butler, tra cui Fare e disfare il genere (Mimesis, Sesto San Giovanni 2014) e L’alleanza dei corpi (Nottetempo, Milano 2017), nonché d’un classico del genere queer come Stanze private. Epistemologia e politica della sessualità di Eve Kosofsky Sedgwick, il 36enne intellettuale d’origine torinese ha curato nel 2016 per Ombre Corte il volume collettaneo Il genere tra neoliberismo e neofondamentalismo.
I temi cardine, su cui si impernia l’intera analisi della sua ultima pubblicazione, sono di quelli che fanno scuotere il capo non solo agli odierni benpensanti, tanto di destra quanto di sinistra, ma anche alla pletora di attiviste/i della variegata galassia Lgbti, sempre più appiattita su normalizzanti modelli etenormati quanto meno capace di essere fattrice e portatrice di una riflessione propria, originale, alternativa.
Come seppe invece fare tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso un Mario Mieli, cui Zappino guarda con grata ammirazione e una cui raccolta di scritti inediti ha visto anch’essa recentemente la luce sotto il titolo La gaia critica (a cura di Paola Mieli e Massimo Prearo, Marsilio, Venezia 2019).
Ed è all’intellettuale milanese che Zappino si rifà esplicitamente più volte nel corso del sua opera come quando, ad esempio, illustra «il postulato alla base del comunismo queer». Per come lo intende, «lo sfruttamento e l’esclusione, all’interno delle società capitalistiche, non hanno solo un carattere universale – tale per cui una maggioranza assoluta di persone è costretta a vendere la propria forza-lavoro al capitale a condizioni che non hanno scelto e che, di conseguenza, possono tranquillamente determinare anche la loro esclusione. Lo sfruttamento e l’esclusione, nelle società capitalistiche, hanno innanzitutto un carattere particolare. Questo era ciò che rilevava Mario Mieli, d’altronde, quando in Elementi di critica omosessuale (1977) scriveva che il capitalismo colpisce “differentemente, allo stesso modo”».
Di conseguenza, se si vuole lottare efficacemente contro il capitalismo, è necessario fronteggiare ciascuna delle singole matrici di oppressione da cui trae linfa e sostanza per affermarsi e riprodursi. Nel caso dell’oppressione di genere e sessuale la sua matrice è l’eterosessualità. Ambire alla sovversione dell’eterosessualità significa per Zappino lottare contro il capitalismo a partire dalle sue cause anziché dai suoi effetti più immediati o visibili. In ciò consiste la differenza tra ogni altra forma di anticapitalismo e il comunismo queer.
Ma il confliggere contro l’eterossualità non va comunque considerato quale parallelo o, meno che mai, succedaneo a quello contro il sistema capitalistico.
«Io non penso – scrive infatti Zappino – che al conflitto agito da chi è sfruttato nei riguardi di chi sfrutta, o da chi detiene nulla nei riguardi di chi detiene tutto, debba essere affiancato un «altro» conflitto, e che a questo conflitto debba essere accordata la stessa importanza accordata all’altro. La mia posizione, piuttosto, è che il conflitto agito da noi minoranze contro l’eterosessualità deve innervare innanzitutto lo stesso conflitto di classe.
In primo luogo, perché esso si dà già all’interno della classe – dal momento che tra gli «sfruttati» e gli «esclusi» ci sono le donne e le minoranze di genere e sessuali, e dal momento che le specifiche forme che lo sfruttamento e l’esclusione nei loro riguardi assume ha a che fare precisamente con la posizione che occupano all’interno del sistema eterosessuale del genere.
In secondo luogo, perché in assenza di una critica del modo di produzione eterosessuale che, tutt’oggi, continua a strutturare la divisione del lavoro, offrendo al capitalismo le risorse simboliche e materiali, corporee e soggettive, per perpetuarsi e riprodursi, ci condanniamo a produrre un discorso sul conflitto di classe desideroso di stabilire una gerarchia tra i conflitti che contano, al cui apice figurano però solo quelli che garantiscono agli uomini eterosessuali di continuare a dirci che fare».