Lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria non possono essere negati a persone migranti che, in conseguenza della loro dichiarata omosessualità, corrono «rischi effettivi» per la loro incolumità una volta rimpatriati.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione accogliendo il ricorso dell’ivoriano Bakayoko Aboubakar S. contro la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro, che aveva confermato il rigetto della richiesta presentata alla Commissione territoriale di Crotone.
Coniugato con due figli e di religione islamica, l’uomo aveva dichiarato di essere «oggetto di disprezzo e di accuse da parte di sua moglie e di suo padre, imam del paese» per una relazione omosessuale, lamentando «la discriminazione e l’assenza di effettiva protezione delle persone omosessuali in Costa d’Avorio da parte delle autorità statali». Ma la Commissione aveva escluso che sussistessero i presupposti della protezione dato «l‘ambito strettamente familiare delle minacce» ma anche in considerazion del fatto che «in Costa d’Avorio, al contrario di altri Stati africani, l’omosessualità non è considerato un reato».
Per i giudici della Suprema Corte, invece, «l’assenza di norme che vietino direttamente o indirettamente i rapporti tra persone dello stesso sesso non è, di per sé, risolutiva ai fini di escludere la protezione internazionale, dovendo altresì accertarsi se lo Stato, in tale situazione, non possa o voglia offrire adeguata protezione alla persona omosessuale e dunque se questi possa subire, a causa del suo orientamento sessuale, la minaccia grave ed individuale alla propria vita o alla persona e dunque l’impossibilità di vivere nel proprio paese di origine, senza rischi effettivi per la propria incolumità psico-fisica, la propria condizione personale».
Nella sentenza viene quindi osservato: «Non risulta che la Corte abbia considerato la specifica situazione del ricorrente ed abbia adeguatamente valutato la sussistenza di rischi effettivi per la sua incolumità in caso di rientro nel paese di origine, a causa dell’atteggiamento persecutorio nei suoi confronti, senza la presenza di adeguata tutela da parte dell’autorità statale».
Secondo la Cassazione, inoltre, «non appare sufficiente l’accertamento che nello Stato di provenienza del ricorrente, la Costa d’Avorio, l’omosessualità non è considerata alla stregua di reato, dovendo altresì accertarsi la sussistenza, in tale paese, di adeguata protezione da parte dello Stato, a fronte delle gravissime minacce provenienti da soggetti privati».
È stato infine rilevato come si sia omesso «di valutare la sussistenza della condizione di vulnerabilità del ricorrente, alla luce della particolare situazione personale prospettata nel ricorso e del concreto pericolo che egli possa subire, in conseguenza della propria condizione di omosessualità, trattamenti degradanti e la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto dello statuto della dignità personale in caso di rimpatrio».