Dopo la risoluzione di condanna, adottata il 18 aprile dal Parlamento Europeo, il sultanato del Brunei continua a essere oggetto di reazioni per le nuove disposizioni delle Parti IV e V del locale Codice penale.
Entrate in vigore il 3 aprile, esse comminano la pena capitale per determinati atti sulla base della shari’a. Nello specifico, la morte per lapidazione è prevista per i rapporti consenzienti tra maschi (in precedenza puniti con 10 anni di prigione), l’adulterio, l’aborto e la blasfemia (insulto o diffamazione del profeta Maometto) mentre l’amputazione d’una mano o d’un piede per il furto. Pene più clementi, si fa per dire, per i rapporti consenzienti tra donne: 40 frustate e 10 anni di prigione.
Motivo per cui il 29 marzo, pochi giorni prima dell’entrata in vigore delle norme, George Clooney ha lanciato una campagna di boicottaggio dei nove hotel di lusso gestiti dalla Dorchester Collection della Brunei Investment Agency, che, pur facente parte nominalmente del ministero delle Finanze, è proprietà, di fatto, del sultano Hassanal Bolkiah.
Lo stesso Premio Oscar 57enne ne ha fornito, in una lettera aperta a Deadline Hollywood, la lista: The Dorchester (Londra), 45 Park Lane (Londra), Coworth Park (Londra), The Beverly Hills Hotel (Beverly Hills), Hotel Bel-Air (Los Angeles), Le Meurice (Parigi), Hotel Plaza Athenee (Parigi), Hotel Eden (Roma), Hotel Principe di Savoia (Milano).
Campagna, che rilanciata e condivisa da star internazionali del cinema, della musica, dello spettacolo, è stata espressamente menzionata nella risoluzione di Strasburgo, in cui si è chiesto l’inserimento nella ‘lista nera’ dei nove hotel del sultano nonché il congelamento dei beni.
Ieri l’iniziativa di Clooney ha incassato il sostegno di Jamie Dimon alla guida del colosso bancario JP Morgan. Seguendo le orme di Deutsche Bank, i vertici dell’istituto statunitense hanno inviato una lettera all’intero staff con l’invito a evitare gli hotel che fanno capo ad Hassanal Bolkiah.
Se si tratta d’iniziativa meritoria al pari dell’eventuale adozione «a livello Ue – come cita la risoluzione di Strasburgo – di misure restrittive per gravi violazioni dei diritti umani, compreso il congelamento di beni e il divieto di visti», lascia non poco perplessi la mancanza di interventi istituzionali e similari campagne di boicottaggio nei riguardi di un Paese come l’Arabia Saudita, dove il 23 aprile sono state condannate a morte 37 persone (tra cui il 16enne sciita Abdulkareem al-Hawaj per presunti reati commessi nel corso di una manifestazione anti-Saʿūd). Condanne eseguite al termine di processi palesemente irregolari basati su confessioni estorte con la tortura
Dal 1° gennaio di quest’anno in Arabia Saudita «sono state giustiziate – come denunciato da Amnesty International – almeno 104 persone: almeno 44 erano cittadini stranieri, la maggior parte dei quali condannati per reati di droga. In tutto il 2018 le esecuzioni erano state 149».