Non può essere trascritto nei registri dello Stato civile italiano il provvedimento di un giudice straniero con cui è stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla gpa e un soggetto che non abbia con lo stesso alcun rapporto biologico (il cosiddetto ‘genitore d’intenzione’).
Lo hanno deciso le Sezioni unite della Cassazione con la sentenza 12193/2019, rigettando la domanda di riconoscimento dell’efficacia del provvedimento che riguardava due minori concepiti da uno dei componenti di una coppia omosessuale di Trento mediante il ricorso alla procreazione medicalmente assistita con la collaborazione di due donne, una delle quali aveva messo a disposizione gli ovociti, mentre l’altra aveva provveduto alla gestazione.
La Corte, come spiegato in una nota illustrativa, ha ritenuto che il riconoscimento del rapporto di filiazione con l’altro componente della coppia «si ponesse in contrasto con il divieto della surrogazione di maternità», previsto dall’articolo 12, comma sesto, della legge 40 del 2004 in materia di procreazione assistita, «ravvisando in tale disposizione un principio di ordine pubblico, posto a tutela della dignità della gestante e dell’istituto dell’adozione».
È stato quindi chiarito che «la compatibilità con l’ordine pubblico, richiesta ai fini del riconoscimento – spiega la Cassazione – dev’essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi hanno trovato attuazione nella legislazione ordinaria, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza». Infine, con la sentenza è stato precisato che «i valori tutelati dal predetto divieto, ritenuti dal legislatore prevalenti sull’interesse del minore, non escludono la possibilità di attribuire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari».
Serie riserve sul verdetto sono state espresse dall’avvocato Alexander Schuster, legale della coppia trentina che in un comunicato ha dichiarato:
«La sentenza 12193/2019 delle Sezioni unite sul caso della trascrizione di un atto di nascita con due padri fissa alcuni punti importanti, ma complessivamente non è condivisibile per l’esito a cui perviene. Sorprende la decisione, perché tutti gli altri giudici italiani hanno sempre tutelato i minori coinvolti dando il riconoscimento.
È senz’altro positivo che le Sezioni unite mettano “in sicurezza” l’adozione in casi particolari (ex art. 44, legge n. 184/1983, erroneamente chiamata step-child): essa è definitivamente il rimedio utilizzabile per tutelare i minori, quindi utilizzabile anche da single, coppie conviventi e omosessuali. La Corte, poi, ribadisce che l’ordine pubblico è un concetto mutevole nel tempo. Vi è, quindi, speranza che, una volta che in Italia si comprenda meglio cosa realmente sia la surrogazione di maternità, la Cassazione riconsideri gli interessi in gioco e pervenga ad un esito diverso. Infine, correttamente la Corte non segue le tesi che indicavano nell’orientamento sessuale e nel sesso dei genitori l’ostacolo al riconoscimento: il discorso degli Ermellini è del tutto neutro e considera il “genitore intenzionale”. Ciò implica anche, però, che gli esiti della sentenza si ripercuotano sul riconoscimento non solo del padre intenzionale, ma anche della madre intenzionale.
La sentenza di oggi, tuttavia, è complessivamente negativa. Da una parte mina le basi di uno Stato liberale nel momento in cui riconosce al Ministero dell’interno, quindi al Governo, al fine di tutelare la «corretta ed uniforme applicazione della legge», «un autonomo interesse, concreto ed attuale», perché un tale interesse consentirà in astratto al Governo di intervenire nei processi che riguardano la vita delle persone, dalla nascita al matrimonio, dal divorzio alla morte.
Non è nemmeno condivisibile la valutazione negativa data della gestazione per altri. Essa si declina in tante modalità, da quelle che certo fanno dubitare della libertà della donna a quelle, come in Canada o nel Regno unito, assolutamente garantiste di tutte le parti coinvolte. Le Sezioni unite “fanno di tutta un’erba un fascio” e ciò non è condivisibile.
Quanto è più grave, ignorano la decisione della Grande camera della Corte europea per i diritti umani del 10 aprile scorso sul tema della tutela del minore nato da GPA. L’adozione italiana ex art. 44 non risponde ai requisiti posti dalla Corte. Alla famiglia di Trento è quindi data ora la possibilità di proporre ricorso a Strasburgo per violazione degli interessi dei bambini, tutelati dall’art. 8 della Convenzione europea».